Te lo ripetono tutti, sarà l’estate della montagna. Le regole imposte dal coronavirus spingeranno i turisti a preferire luoghi all’aperto e senza affollamento. E così dopo il mare, anche il turismo d’alta quota organizza la ripartenza, potendo contare sul vantaggio di spazi meno angusti e affollati. Sarà soprattutto un turismo «di prossimità» quello dell’estate che ci aspetta: infraregionale e con flussi diretti verso le seconde case, percepite come luogo conosciuto e sicuro. Un ruolo chiave lo giocherà proprio la montagna, indicata come meta ideale – tra il serio e il faceto – anche da Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità.
Sono varie e originali le misure prese negli ultimi giorni da albergatori e gestori di rifugi per rispettare le esigenze di distanziamento ed evitare assembramenti: dalle colazioni in camera ai buffet serviti dai camerieri, dai picnic all’aperto al posto dei pranzi in baita fino alle tende da campeggio montate intorno ai rifugi. Sarà una montagna diversa quella che vivremo quest’anno, all’insegna della distanza di sicurezza sui sentieri e di incentivi alle attività outdoor in solitaria. Con la riscoperta di borghi dimenticati e di luoghi più autentici.
«Siamo pronti per una stagione che mai avremmo immaginato. Stiamo lavorando per creare il distanziamento dovuto ma senza creare degli alberghi-ospedali – racconta Roberta Alverà, presidente dell’Associazione Albergatori di Cortina, che conta 55 hotel e 4 mila posti letto – Le strutture sono sanificate e i nostri addetti avranno divise apposite. Ci saranno orari più lunghi per le colazioni e pranzi all’aperto dove possibile; i nostri rifugi stanno pensando di preparare cestini da portare via anziché far mangiare i clienti all’interno. Tutto sarà più slow ma ugualmente bello e rilassante».
Anche in Trentino-Alto Adige si lavora per non «ospedalizzare la vacanza», cercando di rassicurare i clienti con telecamere che mostreranno in tempo reale come le cameriere sanificano le camere e come gli chef preparano i piatti in sicurezza. Le escursioni, l’outdoor, la bicicletta saranno attività più solitarie di prima: un cambiamento che non sarà indolore per gli esercizi commerciali, considerando anche che il turismo montano si concentra in alcuni periodi dell’anno.
«Faremo il possibile per riaprire i rifugi, c’è la massima volontà di tutti gli operatori del settore». L’impegno è rivendicato dal CAI, il Club Alpino Italiano, che pure è accusato di difendere con debolezza gli interessi degli associati. Dalle comunità montane ai rifugisti fino alle associazioni di albergatori, si chiede un intervento del governo e una regolamentazione chiara: «L’urgenza maggiore in questo momento – si legge sul sito del CAI – è che vengano diffuse le regole di ingaggio e che siano nazionali: stiamo rischiando di avere 20 regolamenti diversi in materia di sanificazioni, distanze, camere, guanti. Un’ipotesi che sta frenando la voglia di riaprire».
E così non solo ogni regione ma anche ogni provincia si muove in autonomia, con grandi differenze persino tra comuni vicini. In Trentino la SAT (Società degli Alpinisti Tridentini) valuta come riaprire i suoi 33 rifugi, divisi tra escursionistici e alpini. I primi sono quelli a bassa quota e più facili da raggiungere. È il caso del Rifugio Maranza, che sorge a mille metri sul mare a pochi chilometri da Trento. Vincitore di una puntata del programma tv 4 Ristoranti, lo chef Paolo Betti ha inaugurato un servizio take away e da sabato prossimo aprirà di nuovo: «Per noi la primavera e l’autunno sono i periodi migliori perché i rifugi in quota non hanno ancora aperto o hanno già chiuso dopo la stagione dello sci. Quest’anno ci siamo giocati i primi mesi ma ora siamo pronti: abbiamo stanze private con i servizi igienici e un distaccamento che è perfetto come bar».
Diversa è la situazione in Alto Adige, con la provincia di Bolzano che ha già dettato le linee guida per gli esercizi. Ogni persona dovrà avere uno spazio personale di cinque metri quadri e il CAI ha ordinato dei kit Covid con saturimetri, termometri, mascherine e ozonizzatori per purificare l’aria. Per le strutture di bassa quota si va verso una riapertura dal fine settimana, mentre più in alto si riaprirà a metà giugno. Ci sono già prenotazioni per i prossimi mesi e aspettative positive per la stagione estiva, a cui potrà giovare la riduzione dei viaggi all’estero.
«L’assenza di certezze normative sugli spostamenti lunghi, unita a un generale calo del reddito, porterà a un maggiore interesse per il turismo montano – spiega Fabrizio Goria, giornalista de La Stampa e cofondatore di Alpinismi – Ne potrebbero guadagnare località poco conosciute e tutte da scoprire, in controtendenza rispetto alla massificazione della montagna degli ultimi anni». Non più solo Val di Fiemme o di Fassa, Val Gardena e Madonna di Campiglio, ma anche zone con una vocazione turistica meno forte. «Lo stop imposto dalla pandemia può essere l’occasione per ripensare il turismo in chiave meno commerciale, per esperienze più intimiste e avventurose: una grande opportunità che però va colta con prudenza».
«Molti credono che basti un paio di scarponi da trecento euro per poter fare gli ottomila! Non è così – avverte Goria – servono allenamento e preparazione». In montagna non ci si può improvvisare alpinisti. Chi lo fa mette a rischio la propria vita e quella degli altri, a partire dai volontari del Soccorso Alpino: «Spesso intervengono per recuperare chi resta bloccato in quota, risolvono situazioni che in molti casi potrebbero essere evitate: serve più responsabilità da parte di tutti, bisogna pianificare le uscite con attenzione». Perché la montagna non è assassina, ma la stupidità dell’uomo a volte sì.