«Al momento del parto è stata dura: quattro giorni in ospedale da sola, il travaglio è durato 36 ore e alla fine i medici hanno optato per un cesareo. Quella è stata la parte più brutta, perché a casa, vuoi o non vuoi, il tempo passa, ma in ospedale avrei tanto voluto qualcuno accanto a me. Invece mio marito e i miei familiari non ci sono potuti essere» racconta a Zeta Maria, neomamma che il 4 maggio scorso, alle 22.42, ha dato alla luce un bimbo di tre chili e mezzo.
«Se avessi fatto il parto naturale mio marito avrebbe potuto assistervi, ma solo gli ultimi minuti, cioè il tempo di espulsione del bambino, per intenderci. Invece con il cesareo lo ha visto per pochi secondi, solo il lasso di tempo in cui dalla sala operatoria lo hanno portato in reparto. Poi lo ha rivisto dopo quattro giorni, durante i quali gli ho inviato con il cellulare infinite foto di me col bambino in braccio e in cui abbiamo fatto milioni di videochiamate». Mentre parla, al telefono, non riesce a nascondere un velo di emozione, che traspare dalla sua voce calda e, adesso, finalmente serena.
L’inevitabile isolamento e l’efficienza degli ospedali
La gravidanza di Maria è cominciata quando il Covid ancora non c’era. È arrivato solo negli ultimi mesi, che sono stati però i più difficili, perché “inizi a essere più stanca, non dormi la notte” e “il tempo a casa non passa mai, stando sempre sola”.
La neomamma infatti abita in periferia e nessuno dei suoi parenti vive accanto a lei. «Non potevo nemmeno affacciarmi al balcone e trovare qualcuno con cui parlare. Uscire era impossibile, tutto ciò di cui dovevo occuparmi fuori casa lo ha fatto mio marito. Non poter vedere nessuno mi ha resa molto triste». In ospedale spiega di esserci andata solo per controlli come l’elettrocardiogramma o i tamponi, mentre le visite di routine sono state fatte tutte in privato dal ginecologo. «Sono stati efficientissimi in ospedale, anche più di prima, perché non facevano mai aspettare troppo, proprio per evitare gli assembramenti di persone».
La pensa così anche Sabrina, che ha partorito presso l’ospedale San Giovanni di Dio a Fondi, una delle prime città d’Italia a essere dichiarata “zona rossa”. Anche lei ha notato un’attenzione maggiore da parte del personale sanitario nella gestione delle visite: «Il monitoraggio veniva fatto una donna per volta, la mascherina era obbligatoria, tutto era disinfettato. C’erano più accortezze a livello igienico. Devo ringraziare inoltre tutta l’equipe dell’ospedale, dalla signora delle pulizie al primario del reparto di Ostetricia e Ginecologia, perché ci hanno “coccolate”. Eravamo tutte molto tese per la situazione in cui ci trovavamo e loro sono stati eccezionali. Nonostante la sofferenza per il parto e la paura per il Covid, io ho un bellissimo ricordo dello stare in ospedale».
I pensieri di una neomamma al tempo del Coronavirus
«Mettere al mondo un bambino è già di per sé un’esperienza che ti cambia e per certi versi fa paura – dice Sabrina – perché hai mille dubbi: “Sarò in grado o no? Il parto sarà doloroso?”, in più io ho vissuto quest’esperienza in un periodo storico molto difficile. È stato un accumulo di ansie più grande di quello che normalmente una donna può avere, perché se in una situazione ordinaria ci si fanno domande su come sarà il parto, io pensavo solo a non essere contagiata e a stare in ospedale il meno possibile. Era questo il mio pensiero ricorrente. Tutto questo però mi ha resa più forte, anche perché ho vissuto tutto da sola. Eravamo io e mio figlio. Per ovvi motivi nessuno poteva venire a trovarmi. Oggi però sono più forte e felice».
Alla domanda se avesse provato paura per la salute di suo figlio, Sabrina risponde subito di sì. «Voglio raccontare un episodio. Lui aveva poche ore di vita. Io ero nel pieno della contentezza dell’essere diventata madre, ma anche dell’agitazione di dovermi occupare di lui e tutelare la sua salute. All’improvviso ha cominciato a starnutire. Ha fatto due o tre starnuti uno dopo l’altro. Sono andata nel pallone, pensando fosse stato contagiato. Per fortuna, poi, il personale sanitario mi ha spiegato che i bimbi appena nati sono molto propensi a starnutire. È un riflesso che ha lo scopo di liberare il naso dalla eventuale presenza di micro-particelle estranee. Quindi è normale che lo facciano. Quell’episodio però me lo ricordo perfettamente, mi ha terrorizzato».
Al contrario, Maria afferma di non aver mai provato particolari paure per lei o per suo figlio. «Anche perché sono stata sempre dentro casa e mio marito molto attento. Piuttosto, avevo paura di prenderlo, superarlo, e magari attaccarlo a qualcun altro».
Nella speranza di un futuro migliore
«Per mio figlio sogno un futuro con più condivisione e rispetto tra le persone. Spero che non si verifichino più situazioni di pericolo come questa – dice Sabrina – perché gli racconterò che è nato il 26 marzo 2020, in piena emergenza Covid-19. Non si era certi di niente, il virus non si conosceva e non si conosce bene tutt’oggi. Gli racconterò che Fondi era in piena zona rossa, ma gli dirò anche che è stato un bimbo fortunato perché alla fine è andato tutto bene».
Il benvenuto al mondo di Maria, per suo figlio.
In questi nove mesi abbiamo immaginato molte volte il giorno in cui saresti venuto al mondo.
Avremmo fatto una grande festa con tutte le persone che con noi ti hanno immaginato e atteso.
Questo non è stato possibile a causa della diffusione di una pandemia che ci ha visti costretti a rinchiuderci in casa ed evitare ogni tipo di contatto fisico: abbracci, carezze, baci, quando vengono meno capisci che ti mancano e quanto troppo poco si fanno, quando si può.
Avrei voluto che le cose andassero in modo diverso, ma non tutto nella vita si può scegliere bimbo mio.
Sei nato circondato da poche persone, l’essenziale per farti venire al mondo.
Sei stato l’emozione più grande di mamma e papà, una sensazione di intimità solo nostra da custodire nel cuore per sempre.
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