La Nuova Zelanda di Jacinda Ardern e la Finlandia di Sanna Marin, ma anche la Germania di Angela Merkel e l’isola di Taiwan, guidata dalla presidente Tsai Ing-wen. I paesi con donne al comando sono stati più efficaci nella lotta al coronavirus. E non si tratta di impressioni della prima ora, a parlare sono i dati: nella risposta al Covid-19 gli Stati guidati da leader donne sono riusciti a dare risposte più tempestive, organizzate ed efficaci per difendere i propri cittadini e la tenuta dei rispettivi sistemi sanitari.
È in quattro paesi del Nord Europa – Finlandia, Norvegia, Danimarca e Islanda, tutti guidati da prime ministre – che si registra il tasso di decessi per il virus più basso del continente. Uno dei casi più virtuosi è quello della Finlandia, guidata dalla 34enne Sanna Marin; la premier più giovane al mondo, nominata a dicembre e subito alle prese con un’emergenza globale, ha l’85% dell’approvazione popolare per come ha risposto all’epidemia, che ha fatto registrare poco più di 300 decessi.
Alla base del successo di questi paesi c’è un approccio che ha valorizzato i test a tappeto – come ha fatto in particolare la Germania – e l’accesso a cure sanitarie di livello, rintracciando i contatti di tutti i positivi e imponendo dure misure di distanziamento sociale. Linee guida che hanno permesso alla presidente di Taiwan, democrazia di 24 milioni di abitanti di fronte alle coste cinesi, di non farsi travolgere dal virus proveniente da Wuhan. Aumentando la produzione di mascherine, che ha esportato nell’Unione europea, Taiwan ha bloccato l’epidemia a 440 casi e solo sette decessi.
Anche Jacinda Ardern quarantenne progressista alla guida del governo neozelandese, non ha minimizzato né ha garantito i connazionali di essere al sicuro; non ha accusato agenti stranieri per la diffusione del virus né ha fatto dirette Facebook per annunciare provvedimenti non ancora approvati. La Nuova Zelanda è stata tra i primi paesi a varare drastiche misure di chiusura, sbarrando le porte ai visitatori e azzerando il turismo locale. Dopo un’intensa campagna di test, il paese – cinque milioni di abitanti in tutto – ha registrato 1100 casi e soltanto 22 decessi.
«Gli Stati che meglio hanno risposto al virus hanno in comune il fatto di essere guidate da donne». A notarlo è stata anche la rivista Forbes, che in un articolo a firma di Avivah Wittenberg-Cox, esperta di leadership e gender balance, ha osservato che queste leader hanno mostrato un modo alternativo e attraente di esercitare il potere. Una leadership fondata su quattro parole chiave: verità, risolutezza, tecnologia e amore.
La cancelliera tedesca Angela Merkel si è mossa per tempo e ha spiegato che il coronavirus rappresentava una grave minaccia che avrebbe infettato il 70% della popolazione. «Si è comportata da adulta e ha trattato tutti da adulti», spiega Wittenberg. Un’operazione verità che ha risparmiato alla Germania le fasi di negazione, rabbia e disillusione che si sono viste altrove. Italia compresa. A vent’anni dalla sua elezione a leader della Cdu e al quarto mandato da cancelliera, Merkel ha oggi il sostegno dell’80% dei tedeschi. Data per finita solo pochi mesi fa, indebolita dalle immagini che la mostravano tremante in occasioni pubbliche, die Kanzlerin potrebbe ora ricandidarsi per un quinto mandato.
Risolutezza e capacità decisionale hanno caratterizzato la risposta di Tsai Ing-wen a Taiwan, che già a gennaio aveva introdotto oltre cento misure per fermare la diffusione del Covid – dal controllo dei confini all’individuazione data driven dei positivi – senza dover ricorrere ai blocchi generalizzati che sono diventati comuni ovunque. Lo stesso ha fatto Jacinda Ardern in Nuova Zelanda, veloce nell’ordinare il lockdown e chiara sul livello di allerta imposto al paese. Ma anche sulle ragioni di queste scelte: ha spiegato e poi ordinato la quarantena quando c’erano solo sei casi in tutto il paese e subito dopo ha vietato agli stranieri di entrarvi.
Il programma di Ardern è riassumibile in una frase empatica, che ripete spesso: «La misura di un premier è sapersi confrontare con le ansie del proprio popolo». Popolarissima in patria, a metà marzo la prima ministra neozelandese aveva lanciato un appello alla gentilezza – la campagna si chiamava «Be kind» – e invitato le famiglie a esporre peluche alle finestre per i bambini che facevano il giro dell’isolato con i genitori.
In molti paesi si è rivelato centrale anche l’uso della tecnologia, declinata in modo diverso rispetto a quanto fatto dalla Cina e da vari paesi asiatici. Sotto la guida della premier Katrín Jakobsdóttir l’Islanda ha offerto test gratuiti a tutti i cittadini: in proporzione alla popolazione, ha esaminato cinque volte più persone della Corea del Sud e istituito un sistema di tracciamento accurato che ha permesso di evitare il lockdown e la chiusura delle scuole. E che dire della premier finlandese Sanna Marin, che si è avvalsa dell’aiuto dei più popolari influencer? Personalità adatte a diffondere sui social notizie sulla gestione della pandemia e a prevenire (anziché eliminare) le fake news.
Linguaggio onesto e trasparente, comprensione per le paure di tutti – come nel caso della premier norvegese Erna Solberg, che ha spiegato ai bambini perché fosse normale sentirsi spaventati – ma anche richiami a una responsabilità autentica e non di facciata. «L’empatia e la cura che hanno comunicato queste leader sembrano provenire da un universo alternativo rispetto a quello a cui siamo abituati», ha scritto Wittenberg. «Troppe organizzazioni convincono le donne a comportarsi come gli uomini se vogliono avere successo, ma tutto ciò è sbagliato. Quante altre innovazioni semplici e umane scatenerebbe una maggiore leadership femminile?».