Il tramonto si specchia nel calice di prosecco su un tavolino vista mare, riservato a nome “Cadoni”. «Non siamo noi, Sofyane» fa notare una ragazza mora. Un sorriso malizioso, inumidito dal vino, spunta dal bordo del bicchiere, lo sguardo indica la sedia a rotelle: «Tesoro, chi vuoi che cacci un povero disabile?».
Sofyane Mehiaoui ha cominciato a vivere forte fin da subito: nei primi dodici mesi viene colpito dalla poliomielite, una grave malattia infettiva invalidante che lo costringe per sempre su una carrozzina. Sembra una gara compromessa ancora prima di cominciare: verso quali obiettivi si può correre con delle gambe paralizzate? Non resta che rinunciare all’idea di una vita normale. Eppure a 36 anni Sofyane è un uomo su una sedia a rotelle che guarda il mare e dice: «non vedo l’ora di imparare il surf».
«Tutta questione di mentalità» osserva, mentre una banale conversazione da aperitivo rischia di trascinarsi verso argomenti pallonari: «una squadra vince se è allenata a non precludersi nessun obiettivo: il limite non è mai un traguardo oltre il quale non è possibile andare, ma una sfida continua».
Il tono serio, professionale, un italiano condito da un buffo accento parigino, che gratta le «erre» e scompiglia l’ordine degli accenti, desta curiosità. Una massa muscolare imponente rende palese che sa di cosa sta parlando: «Faccio basket in carrozzina, gioco in Sardegna per la GSD Porto Torres». Forse vi sarà capitato di vederlo qualche volta su RaiSport, il sabato pomeriggio, e magari assocerete al ricordo le memorabili telecronache di Lorenzo Roata. «Quell’uomo è un mito – commenta eccitato – le sue telecronache mi impressionano e mi gasano a mille, ogni tanto con la mia ragazza ci ritroviamo a riascoltare i suoi commenti alle mie partite e ci facciamo un sacco di risate. E’ davvero gratificante sapere che c’è qualcuno che apprezza in modo così viscerale quello che fai».
La prima cosa che viene da pensare è come sia possibile giocare a basket senza correre e senza saltare. Vi sembra facile palleggiare e spostare la sedia a rotelle allo stesso tempo? E poi dover anche frenare, ruotarla, gestire gli scontri (che avvengono e fanno male) con gli avversari. Impossibile per uno “normale”. «Ma ti assicuro che col tempo diventa automatico, come per voi correre e fare qualsiasi altra cosa contemporaneamente» afferma bonario, intuendo e prevenendo le perplessità del caso. «È uno sport che di bello ha questo: la sua struttura è pensata per garantire spazio a diversi tipi di disabilità attraverso un sistema di punteggi che vengono assegnati a ciascun giocatore in base alla gravità del proprio handicap. Da un minimo di 1,0 punti per un disabile con minori potenzialità fisiche, ad esempio un paraplegico con scarso o nullo controllo del tronco, fino a un massimo di 5 punti per chi è afflitto da un handicap meno grave o per un normodotato: il punteggio complessivo del quintetto titolare non deve superare i 14,5 punti, cosicché ogni formazione non può schierare più di due giocatori normodotati. Questo rende gli altri atleti, anche quelli in condizioni più gravi, non solo importanti, ma fondamentali, si crea un vero e proprio mercato per ciascuna categoria di punteggio. Fantastico».
Lo sguardo di Sofyane si fa raggiante all’arrivo di una pizza margherita. «Ecco uno dei motivi per cui amo l’Italia. E in particolare Roma, che preferisco persino alla mia Parigi. La Capitale è una città che porto nel cuore, qui ho vissuto cinque anni indimenticabili, sia con il Santa Lucia Sport che con il S.Stefano Sport, con cui ho vinto scudetti e sfiorato una Coppa dei Campioni nel 2010. Forse solo a Istanbul mi sono trovato meglio, anche perché con il Galatasaray di Coppe Europee ne sono arrivate ben due».
Sofyane Mehiaoui non è né un uomo ordinario e nemmeno un atleta fra tanti: è qualcuno che ha vinto, come Cristiano Ronaldo, come Valentino Rossi, come Roger Federer. Però senza gambe, perché in fondo il destino di un uomo è nelle sue mani.
A uno come lui si possono porre quelle domande che capita di rivolgere solo alle grandi rockstar dello sport: come gestire la pressione del grande pubblico? Come trovare la concentrazione? Come vivere il successo senza montarsi la testa? E proprio come accade con tutti i grandi sportivi, le risposte sono accompagnate da sorrisi imbarazzati, come di chi parla di qualcosa di consueto ma che sa essere speciale per i non addetti ai lavori: «Quando giochi sei nella tua bolla, concentrato al massimo su quello che devi fare, il pubblico è poco più che un lontano brusìo. Ci sono momenti in cui può incidere di più, come durante un tiro libero, ma esistono gestualità, tic se vogliamo, che un giocatore si crea apposta per mantenere viva l’attenzione sul gesto tecnico e la mente sgombra. Sembrano dettagli, ma sono accortezze che fanno la differenza tra perdere e vincere».
E per vincere c’è una ricetta imprescindibile: non porsi limiti.
«Non so stare senza far nulla, non sono mai stato capace: ricordo quando andai a giocare in Australia, lì lo sport non era praticato a livello agonistico, ci allenavamo un paio di volte a settimana, una noia rispetto ai ritmi di lavoro europei che prevedono due sessioni al giorno. Nel tempo libero io e la mia ragazza noleggiammo un furgone e ci girammo tutta la costa orientale, da Port Douglas, nel nord, fino a Sidney. E anche durante la quarantena, che ho trascorso a Parigi, non potevo allenarmi e così mi sono trovato un impegno: ho ritinteggiato tutto il bagno della casa di mia madre. Era una stanza vecchia e piena di muffa, ora ha un aspetto meraviglioso e davvero confortevole».
«Si può fare tutto. La mia disabilità è spesso un vantaggio – ride – quando sono in fila alle poste, per esempio, io sono lì, seduto comodo a farmi gli affari miei, e le persone mi fanno passare avanti, si preoccupano o magari si fanno scrupoli. Certo sono tutti molto gentili, e il risultato è che passo avanti e non perdo tempo».
Con il calare della sera, arriva il momento dei saluti. Sofyane si allontana dal tavolo, si fa largo nel bar e nel percorso verso la cassa incontra davanti a sé un gradino che sembra debba bloccarlo lì. Ma una lunga rincorsa, una spinta decisa delle braccia sulle ruote della carrozzina, e l’ostacolo è superato. Nessun clamore, nessun problema.
«Dai, questo sforzo merita un premio – sorride beffardo – ora chiedo se ci offrono un amaro. Non avranno mai il coraggio di dire no a un povero disabile».
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