«Vita: esistenza effettiva, movimento di materia in uno stato di organizzazione, agitazione, attività, movimento. Morte, non più vita, cessazione delle funzioni vitali. Essere stato e non essere più».
Così José Saramago, scrittore, giornalista, poeta ha descritto la vita e la morte nel documentario José e Pilar del regista Miguel Gonçalves Mendes che racconta gli ultimi anni di vita dello scrittore con sua moglie, la giornalista e traduttrice spagnola Pilar del Rio. Ventiquattro anni senza lasciarsi per un solo giorno. Lei aveva 36 anni e lui 63 quando si sono conosciuti. «È stato un dono della vita. Abbiamo condiviso tutto, fino all’ultimo istante». Pilar è la presidente della fondazione José Saramago, fondata nel 2007 a Lisbona con l’obiettivo di promuovere e proteggere la Dichiarazione universale dei diritti umani, la cultura portoghese, il rispetto per l’ambiente.
José Saramago è stato l’unico scrittore portoghese ad aver vinto il premio Nobel, nel 1998. «Fu una festa per tutto il Portogallo e non solo, come se la nazionale avesse vinto il campionato del mondo, c’era autentica gioia collettiva in tutto il paese» racconta Giorgio de Marchis, docente di letteratura portoghese all’Università Roma Tre. «Aveva un legame inscindibile con la cultura del Portogallo e un dominio assoluto della lingua portoghese, che ha saputo ricreare attraverso uno stile personale e immediatamente riconoscibile». Nacque ad Azinhaga nel 1922, un piccolo villaggio al centro del paese e nel 1991 si autoesiliò a Lanzarote, alle Canarie – poiché la decisione del governo di ritirare, su pressione del clero cattolico, la candidatura del suo romanzo Il Vangelo secondo Gesù Cristo a un premio letterario europeo lo indignò. Ciononostante rimase molto legato alla sua terra. Fu un pensatore libero ed ateo, non privo di inquietudini spirituali, uno scrittore civile. L’uomo e l’umanità sono i temi al centro dei suoi romanzi.
Durante la conferenza “Dalla statua alla pietra” che tenne all’università di Torino nel 1998, analizzò la sua produzione letteraria suddividendola in due fasi, come ricorda de Marchis.
Nella prima, quella della statua, Saramago indaga la storia, spinge i lettori alla riflessione sullo statuto narrativo. Lo storico, come colui che scrive romanzi, sceglie che cosa illuminare con il racconto.
In Memoriale del Convento per tre pagine cita solo una serie di nomi, sono i muratori che hanno costruito il Convento di Mafra, non c’è Giovanni V, il ventiquattresimo re del Portogallo e dell’Algarve, che lo volle. Emerge il desiderio di proporre altre narrazioni possibili oltre la Grande Storia, fino ad arrivare a Il vangelo secondo Gesù Cristo, che non esiste, ma che descrive personaggi che altrimenti sarebbero rimasti in silenzio.
In tutta l’opera di Saramago c’è la messa in discussione del potere.
Nella seconda fase, della pietra, lo scrittore entra dentro la statua, indaga l’umanità. Cecità, Tutti i nomi, La caverna, Saggio sulla Lucidità, sono i romanzi che vengono solitamente definiti come allegorici con personaggi senza nome e situazioni senza tempo che hanno l’obiettivo di raccontare l’universalità della condizione umana, oltre il contingente.
Dopo aver analizzato la storia e aver compreso che questa è l’espressione di chi ha vinto, dopo aver illuminato i visi di chi solitamente viene lasciato nell’ombra, dimenticato, Saramago sceglie di raccontare la pietra che compone la statua.
«L’uomo più saggio che abbia mai conosciuto – dice durante il discorso per il Nobel – non sapeva leggere o scrivere». Era suo nonno Jerónimo Meirinho, analfabeta.
Saramago non manovra i protagonisti ma lascia che si muovano liberamente, sono persone comuni che divengono personaggi letterari.
Man mano che scrive la trama si rarefà ed il romanzo si trasforma in un contenitore di cui entrano a far parte l’etica, la politica, la saggistica, il teatro e la filosofia. L’obiettivo è invitare alla riflessione.
«Di José Saramago non abbiamo una produzione giovanile, fatta eccezione per il suo primo romanzo Terra del peccato del 1947, che però egli stesso considerava poco rilevante. È stato il più grande romanziere portoghese del Novecento e, sebbene abbia lavorato sempre nel contesto culturale del paese – come giornalista e nell’editoria – si è imposto come scrittore solo dopo la Rivoluzione dei Garofani, il colpo di stato che pose fine al regime autoritario di Salazar, del 25 aprile del 1974».