Da quando mi hanno diagnosticato il Coronavirus ho una fantasia ricorrente: padre Lankester Merrin, il prete del film l’esorcista, entra nella mia stanza e annaffiandomi con l’acqua santa urla “esci da questo corpo figlio del demonio”. Quando ho questa fantasia, rido. Ebbene sì, ho il coronavirus e rido. Riesco a farlo perché sono asintomatico e mi sono risparmiato gli ospedali, i respiratori, le terapie intensive e tutte quelle esperienze che purtroppo in molti hanno vissuto.
Il problema è che rido da solo. Sono più di due settimane che sono solo, chiuso in una stanza di pochi metri quadri.
So di essere stato molto fortunato. Nella vita ho fumato tante sigarette che potrei riempire un intero appartamento con tutte le cicche che ho spento, ed ero sicuro che un virus che colpisce i polmoni non me l’avrebbe fatta passare liscia, invece nulla. La felicità che deriva dalla consapevolezza di essersela cavata con poco è davvero tanta, poi i giorni passano, e la solitudine comincia a corrodere il buon umore.
Sono settimane che l’unica persona che vedo è la mia immagine riflessa (e ovviamente il mio nuovo amico immaginario, padre Merrin), e non ho quindi motivo di vestirmi, pettinarmi, o tagliarmi la barba. Mi muovo solo quel tanto che basta da passare dal letto alla scrivania e dalla scrivania al bagno. In poco tempo sono diventato un incrocio fra il nonno di Heidi e il bradipo de “L’era glaciale”.
Ho però trovato un buon motivo per continuare a lavarmi e a tenere pulita la mia camera, che poi è diventata il mio terrario: non voglio che il virus riceva la visita di qualche batterio. Se io sono solo, lo deve essere anche lui.
I giorni passano tutti uguali, quando non lavoro, guardo serie televisive e film. Tutti i servizi streaming on-demand offrono un mese gratis, e ovviamente li ho attivati tutti. Spero solo di ricordarmi di disattivarli prima che scatti il secondo mese. I punti più movimentati della giornata sono quelli in cui mi sposto dalla camera al bagno. Quei momenti richiedono un rito ben preciso: la vestizione. Questa consiste nell’indossare due mascherine, una sopra l’altra, portarsi la felpa sopra il naso, e per ultimo, ma non meno importante, porre la mano su tutti e tre gli strati. La seconda parte del rito consiste nell’avvisare quelli fuori la stanza che sto uscendo, così che possano mettersi in salvo. L’urlo ricorda quello che faceva il servo del Marchese del Grillo quando il suo padrone si svegliava. Invece di “S’è svegliato”, urlo “Sto uscendo”.
Con questi stratagemmi caserecci sono riuscito a non diffondere il Covid alle persone che vivono con me. È un ottimo risultato, considerando che la persona che mi ha contagiato, ha attaccato il virus anche a tutti i suoi parenti.
Nelle prime notti ho avuto grossi problemi a prendere sonno. Non facendo nulla tutto il giorno, è normale. Ascoltavo il silenzio, e saltavo in aria a ogni colpo di tosse che proveniva da fuori la stanza. Ogni volta che qualcuno tossiva era per me un tonfo al cuore. La paura di aver contagiato qualcuno è una compagna di isolamento molto paziente, ti resta vicino tutto il tempo. Notti del genere non le auguro a nessuno. Più tardi però ho vinto l’insonnia. Ho scoperto che YouTube offre una vasta scelta di audiolibri gratuiti. Non so perché, ma la voce di Pannofino che legge Harry Potter mi fa dormire all’istante.
Domani finalmente farò il secondo tampone. Se padre Merrin ha fatto un buon lavoro, sul referto sarà stampata la parola più dolce del 2020: negativo.
Potrò quindi lasciare questa stanza, ma forse non l’appartamento. Nell’etere infatti si sente parlare sempre più frequentemente di un nuovo lockdown. È ormai chiaro che è in corso una gara fra me e il premier Conte. Riuscirò a liberarmi del virus e a godermi almeno un’uscita, prima che lui si liberi da ogni remora e lanci il Dpcm che ci rinchiuderà di nuovo a casa?