«Un abbacchio. Sette chili in più, vero?». Antonino è il capitano di LBM SPORT TEAM, la mia squadra di running. Mi guarda, poi incalza: «Neanche il cronometro hai portato? Non azzardarti a chiedere quanti chilometri faremo oggi». Un rapido saluto col gomito, mi tolgo la mascherina e la ripongo nella tasca del pantaloncino. E partiamo, ognuno su un lato diverso della strada. Allenarsi durante la pandemia è anche questo.
È un sabato mattina di metà gennaio. Sono le 7. Il freddo è pungente, gli occhi ancora gonfi di sonno, ma la voglia di ricominciare tanta. Quasi un anno di stop, in mezzo timidi tentativi di ripresa, una professione nuova, un infortunio, la nascita di una figlia. E la pandemia. Giusto correre mentre Covid-19 riempie ospedali e mette in crisi l’economia? Lo scorso marzo lo ritenevo l’ultimo dei problemi. Sbagliato scavare tra i vari Dpcm alla ricerca di un cavillo che autorizzasse il jogging, ma anche prendersela con la categoria dei runner, spesso bersaglio gratuito di rabbia e frustrazione.
In base agli ultimi provvedimenti governativi è consentito allenarsi, mantenendo però un distanziamento dalle altre persone ed evitando assembramenti. Così, senza gare della domenica o record personali da infrangere, qualcosa mi butta giù dal letto e proietta in strada, alla scoperta di Roma. Quartiere Ostiense, da tempo non mi affacciavo dal Ponte della Scienza a guardare il Tevere. Il rumore dei flutti è rassicurante, i colori magnetici. Rimarrei a fissarlo per ore, se la voce di Antonino non interrompesse i miei pensieri: «Datti una mossa».
È bello scoprire i lineamenti della città, gli odori e i suoni nascosti dai ritmi della routine. San Saba, Testaccio, il Palatino illuminato dal sole. Alla giusta velocità si possono cogliere particolari di un vecchio edificio, insegne di botteghe, l’ingresso di una via stretta del centro, una tipica trattoria dove invitare la fidanzata a cena. Ogni cento metri vorresti scattare una foto, andare su Google a studiare date, curiosità. È l’aspetto più coinvolgente per chi non ha l’assillo del cronometro, in un momento in cui serve star bene con sé stessi. Così capisco quanto mi sia mancato bere al nasone del Portico d’Ottavia, attraversare il Circo Massimo, sporcarmi di fango nel parco della Caffarella.
Finisco stremato, ma contento. Il dolore alle tibie sembra sparito. Antonino mi stuzzica: «Siamo solo all’inizio. Ho una proposta». Più tardi, mentre faccio stretching sotto casa, ci ripenso: 19 settembre 2021. Sarebbe bello correre la Maratona di Roma il giorno del mio compleanno. Di scuro non mi appunterei il pettorale solo per partecipare. Abbattere il muro delle 3 ore? Che bel regalo sarebbe. Ci sono tanti mesi davanti, ma dovrò organizzarmi. Serviranno un allenatore, che mi segua con costanza e freni la mia voglia di strafare, e un fisioterapista. E a tavola… Meno sgarri.
In quel momento un runner mi passa vicino. Dall’andatura sembra aver appena cominciato l’allenamento. Mi fa un gesto. Non lo conosco, ma salutarsi è una regola della strada. Esaltazione, fissazione, dicono da fuori. Passione e cultura della fatica, le chiamo io.
E allora mi convinco. Non so se a settembre il vaccino avrà migliorato le nostre vite, ma intanto voglio godermi la corsa e il sorriso di un amico. Anche se distante, per qualche ora non sarà nascosto da una mascherina.