La svolta europeista della Lega si compie nel giro di sole 24 ore: lo stretto necessario per rimodulare la retorica e cambiare registro. Troppo poco, però, per spigare – o far capire – il cambio di passo sulla linea generale: Europa, Recovery Fund, immigrazione, flat-tax. Talmente poco, che gli esponenti del partito faticano nel giustificare l’appoggio ad un premier di segno opposto, europeista e moderato. Non è un caso che nel giorno del secondo round di consultazioni, si facciano rincorrere per tutto il giorno. I pochi disposti a parlare cercano di tenersi in equilibro tra il presente e il passato, stando bene attenti a non cadere nell’uno o nell’altro. Perché in entrambi i casi significherebbe precipitare nella contraddizione.
Claudio Borghi ne sa qualcosa, è l’economista della Lega che più di tutti ha criticato la moneta unica. Entrò in parlamento nel 2018, quando a stampare le banconote europee era proprio il presidente incaricato Mario Draghi. Ora Borghi – alle prese con la retromarcia orchestrata da Salvini – finisce anche col porre l’accento sul potenziale sovranista dell’ex capo della Bce: un paradosso. Lo fa mentre i colleghi di partito sono alle prese con i preparativi del faccia a faccia a Montecitorio. «I problemi della moneta unica rimangono», dice. Ma quando gli si fa notare che il suo partito intende appoggiare il più europeista tra i premier, lui risponde: «Bisogna prima capire cosa significa la parola “europeista”. Obbedire all’Ue senza fiatare è schiavismo, avere una persona in Europa in grado di cambiare gli equilibri, invece, è sovranismo».
Peccato che siano proprio quegli equilibri europei i primi a risentire della metamorfosi moderata portata avanti da Salvini. Al termine delle consultazioni, sono gli eurodeputati leghisti a compiere l’ennesimo cambio di direzione. I parlamentari di Bruxelles votano a favore del regolamento che istituisce il Recovery Fund, sul quale, l’ultima volta, la Lega si era astenuta insieme agli alleati di Identità e Giustizia: gruppo europeo di cui la Lega fa parte insieme ai sovranisti francesi di Rassemblement National e ai nazionalisti tedeschi di Afd. È proprio contro di loro che, a sorpresa, si è scagliato Marco Zanni (presidente leghista del partito europeo). Lo ha fatto non appena Jorg Meuthen, vicepresidente del gruppo e esponente di AfD, ha provato ad attaccare le politiche di Draghi alla Bce. «Se qualcuno all’estero critica il professor Draghi per aver difeso l’economia, il lavoro e la pace sociale europea, quindi anche italiana, e non solo gli interessi tedeschi, questa per noi non sarebbe un’accusa, ma un titolo di merito».
Un segnale, questo, arrivato subito dopo l’apertura della Lega nei confronti di un esecutivo presieduto da Mario Draghi. La replica di Zanni è la prima spia di insofferenza tra due partiti appartenenti alla stessa famiglia europea, su cui Salvini negli anni ha costruito un rapporto di stretta collaborazione in nome dell’euroscetticismo sovranista. Ma ora perfino un addio al gruppo di Identità e Giustizia non sembra un’ipotesi così lontana. Ed è proprio nello spazio temporale che intercorre la difesa Zanni e il sì degli eurodeputati al Recovery che Forza Italia – per bocca del deputato Giorgio Mulè – accoglie con favore un possibile ingresso della Lega nella stessa famiglia degli azzurri. “Nel Partito Popolare Europeo siamo inclusivi, c’è posto anche per Salvini”, ha detto a poche ore dell’incontro tra il segretario leghista e l’ex presidente della Bce. Per l’occasione il Capitano si è tolto la felpa e ha indossato la cravatta: una metafora per spiegare la conversione della Lega, di cui il Cavaliere andrebbe senz’altro fiero, in un caso o nell’altro.
È proprio Matteo Salvini quello che dopo le consultazioni si ferma più a lungo a parlare con i cronisti fuori da Montecitorio. Cammina verso il circo mediatico a ritmo veloce. Nei passi c’è la smania di gridare al mondo quanto Draghi gli sia piaciuto. «Urlo, se volete», esordisce davanti alle telecamere. «Non vediamo l’ora di partire». E ancora: «Vogliamo dare il nostro contributo in un governo che spero nasca presto». Parla anche di immigrazione, Salvini, ma senza le solite invettive contro l’accoglienza, i barconi e la stessa sinistra che si ritroverà in maggioranza. «Adottiamo le politiche che funzionano in tutti gli altri paesi europei dove vengono salvate vite e contrastati i trafficanti di esseri umani». Un cambio di registro che determina anche il cambiamento dell’orizzonte politico a cui punta Salvini: i moderati. Addio ai temi divisisi, dunque, quelli che hanno creato il terreno di scontro sul quale di volta in volta la Lega si è misurata con il Partito democratico e il Movimento 5 stelle. Persino la flat-tax sembra essere sparita dai radar. “Non credo ci sia il tempo per farla – ammette Edoardo Rixi – ma sicuramente a Draghi chiederemo di non alzare le tasse”. Un abisso, insomma, tra l’idea del deputato e il principio della tassa piatta, da sempre cavallo di battaglia della Lega.
Eppure, c’è chi giurerebbe sul fatto che quello del Capitano, in realtà, non sia altro che un calcolo opportunistico. La pensa così Renata Polverini, ex senatrice di Forza Italia ed ex alleata di Salvini, recentemente passata nel gruppo dei “responsabili” quando in ballo c’era ancora l’ipotesi di un Conte ter. «Una persona che cambia idea in 24 ore può cambiarla di nuovo – dice – ma vedremo cosa succederà in campagna elettorale», troppo lontana, ormai, dalle intenzioni di chi la evocava.