«Fin da subito abbiamo capito che c’era qualcosa che non andava, in quel periodo fra noi e la Protezione Civile c’era un rapporto stabile e quelle mascherine non sarebbero mai potute essere importate come mascherine regolari perché sprovviste di qualsiasi certificazione CE e del lasciapassare da parte dell’INAIL». A parlare è Davide Miggiano, capo della sezione Roma2 dell’Agenzia Dogane e Monopoli. Il caso mascherine false nel Lazio è partito proprio da lui e dai controlli poi effettuati dalla Guardia di Finanza su segnalazione della Protezione Civile del Lazio, a cui i beni erano destinati.
Dispositivi di protezione individuale pari a 5 milioni di mascherine FFP2 e 430mila camici sanitari. Merce contraffatta ma non destinata alle farmacie. Da un lato i consumatori, che quindi non corrono rischi perché mai entrati in contatto con i dpi contraffatti, dall’altro forze dell’ordine, enti e ospedali, a cui la Protezione Civile ha comunque distribuito mascherine e camici a partire da marzo-aprile 2020. Le indagini hanno portato il 3 marzo all’arresto di Andelko Aleksic, Vittorio Farina e Domenico Romeo, imprenditori finiti sotto i riflettori del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma. I tre avrebbero beneficiato di un “bottino” da 22 milioni di euro, anch’esso sequestrato. Gli inquirenti sono ora al vaglio delle intercettazioni fra Domenico Romeo e l’ex commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, che però al momento non risulta indagato.
Com’è andata.
«La nostra indagine è scattata perché la società milanese European Network ci aveva presentato certificati di conformità che però tutto erano fuorché conformi. E non erano nemmeno regolari, perché rilasciati da certificatori non riconosciuti o addirittura fittizi. L’azienda indagata ha ricevuto 4 esiti negativi dall’INAIL, ma in uno di essi c’era un passo che concedeva spiragli per procedere con la fornitura».
La European Network, al centro dello scandalo, si era occupata sempre e solo di editoria fino a marzo 2020, per poi riconvertire il business sui materiali sanitari. L’impresa, di cui Aleksic è amministratore, aveva dapprima fornito documenti irregolari e poi, per superare le criticità dovuto all’importazione dalla Cina, aveva prodotto falsi certificati CE forniti da una società inglese fasulla riconducibile a Romeo. «Non possiamo rilasciare dichiarazioni, nemmeno sulla natura del nostro business», spiegano da European Network. Le autorità, per il momento, hanno posto all’azienda il divieto di collaborare con la Pubblica Amministrazione.
«Si sono appellati all’unico stralcio di una sola delle risposte dell’INAIL per poter comunque procedere, ma senza averne titolo. Così anche lì abbiamo allertato sulla situazione di non conformità e in seguito a ciò sono partite le indagini. È un atteggiamento che abbiamo con tutte le società che importano prodotti senza marchi e certificati CE. A tutti chiediamo “Siete stati all’INAIL? Che risposte avete avuto?».
I marchi CE sono titoli di conformità europea che garantiscono la totale adeguatezza e utilizzabilità dei prodotti, sia in relazione alla pericolosità, sia, come nel caso dei dispositivi di protezione individuale, relativi all’efficacia in seguito all’uso. In sostanza, né le mascherine né i camici contraffatti impediscono il contagio. «La pericolosità è stata determinata in un secondo momento da analisi sui materiali e stress test condotti dalla Guardia di Finanza che è molto probabile si sia rivolta a laboratori accreditati per effettuare le prove. Sono stati effettuati per certo test di filtraggio e prove di tenuta», aggiunge Miggiano.
Truffa, ma non rischio.
I consumatori possono comunque dormire sogni tranquilli perché i beni non sarebbero mai finiti in farmacia o su qualsiasi altro banco di vendita.
A confermarlo è Andrea Cicconetti, presidente di Federfarma Roma: «Non esiste nemmeno una sola mascherina della Regione Lazio nelle farmacie, i dispositivi di protezione individuale li compriamo da fornitori esterni, ne valutiamo la regolarità e solo dopo li approviamo. Il canale delle farmacie è il più sicuro perché i prodotti hanno regolare certificato di conformità europea. Internet, invece, comporta dei rischi, perché ci si trova merce della quale in certi casi non conosciamo né provenienza né conformità. Per il consumatore è impossibile riconoscere i fake. Delle mascherine finite sotto inchiesta va detto che sono state contraffatte con materiali scadenti e di facile deterioramento. Ma per i consumatori non c’è da temere: noi non abbiamo mai acquistato mascherine dagli enti, anche nei momenti di maggiore difficoltà, come nel primo lockdown, anzi, siamo stati costretti a lavorare senza».