Il viaggio, a volte, è la costante di una vita. Apre orizzonti, serve a fare esperienza anche se hai solo diciotto anni e il percorso è appena iniziato. Alessandro Arlotti ha cominciato a tirare calci al pallone quando di anni ne aveva quattro. Nizza, il Principato di Monaco, Pescara. Questione di sogni, obiettivi. A dicembre la chiamata che cambia tutto. «La mia richiesta di ammissione all’università di Harvard era stata accettata, difficile rifiutare».
Nessun dubbio, nessuna indecisione. «Qualche calciatore rifiuterebbe un’offerta del Barcellona?», accenna con un sorriso. Milan e Monaco le squadre del cuore, la maglia numero 21 dell’idolo Andrea Pirlo uno stile di vita. Classe ed eleganza in campo, la testa sempre sulle spalle. Poi la svolta, in una fredda serata di metà dicembre. «Ero solo a Pescara, per i risultati delle selezioni dovevo aspettare l’una. Immaginate l’ansia. Appena l’ho saputo ho chiamato la mia famiglia, in attesa con me. Non riuscivamo a crederci…».
Nato a Nizza da genitori italiani, Alessandro inizia a giocare presto con le giovanili dei monegaschi. È un attaccante, poi scivola sulla trequarti e con gli anni diventa capitano della squadra Under 17. La nazionale francese lo vuole, arriva la prima convocazione nell’Under 16. Viene fuori un problema. Mamma Deborah e papà Gianni sono stranieri, per ottenere la cittadinanza serve aver vissuto almeno cinque anni in Francia. Il Principato però non fa testo, è uno Stato Indipendente.
Dalla Marsigliese all’Inno di Mameli il passo è breve. L’Italia lo nota, a gennaio 2019 lo squillo dell’Under 17. Poi le prime presenze e gli Europei di categoria, con la casacca da titolare nella sfida della fase a gironi contro la Spagna. La convocazione arriva anche per il Mondiale, prima di iniziare con l’Under 18. Il Tricolore lo chiama. Lui non resiste, risponde presente e nel 2020 sceglie il biancoazzurro del Pescara per avvicinarsi e dire che c’è. «Come tutti i bambini speravo di arrivare in Serie A, il periodo in Abruzzo mi è servito perché anche se non sono sceso in campo con la prima squadra ho capito che avrei potuto farlo qualche anno dopo, con allenamenti e impegno. Poi Harvard. Dovevo decidere entro febbraio se continuare con il calcio in Europa o andare a studiare e giocare là. Non potevo lasciar passare un treno così grande. Ho riflettuto tanto, ma è la scelta giusta».
Priorità allo studio, poi lo sport. Che comunque non mancherà, visto che negli States giocherà per la squadra dell’ateneo più prestigioso del mondo nella mitica Ivy League: «Farò il massimo per aiutare il mio college, il calcio americano sta migliorando. Se continua così, tra qualche anno può avvicinarsi ai livelli europei».
Brillante da sempre, si è diplomato con il massimo dei voti in Francia, all’Academy dell’AS Monaco, liceo scientifico. Numeri nel DNA, ma traiettorie ancora da definire del tutto: «I primi anni di formazione saranno generali, poi mi piacerebbe studiare Economia».
L’appoggio della famiglia non è mai mancato, ci tiene a precisarlo: «Gianluca, mio fratello, è alla Boston University e mi è stato sempre vicino, così come mamma e papà, fondamentali nei loro consigli. Anche Massimiliano Capriolo, allenatore delle giovanili del Torino, con me fin dai campi estivi (dal 2009 al 2016), mi ha dato una grossa mano».
Champions League, Mondiali o Europei restano sullo sfondo di un futuro ipotetico nel calcio delle stelle. Rimpianti? Alessandro Arlotti non ne ha: «Nella vita le prospettive cambiano e scegliere significa anche rinunciare. Il calcio era un sogno, sono giovane e so che non è facile tornare a giocare in Europa. Chissà, magari tra qualche anno…».