«Il vaiolo è un castigo di Dio e la vaccinazione è una sfida contro il Cielo». Così Papa Leone XII metteva in guardia gli uomini di buona volontà dai pericoli di una pratica immorale. Era il 1823, proprio l’anno in cui moriva Edward Jenner, l’uomo che il Cielo lo aveva sfidato trent’anni prima.
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Grazie alla scoperta del vaccino da parte del medico inglese, migliaia di vite erano state risparmiate dalla furia del vaiolo attraverso un processo che ribaltava ogni rituale terapeutico: anziché cercare di guarire un corpo malato con medicinali curativi, il vaccino introduceva un agente patogeno in un corpo sano. Un rimedio giudicato controintuitivo e pericoloso non solo dall’oscurantista Chiesa cattolica. Fu il filosofo Immanuel Kant ad affermare che «I vaccini deviano il corso della natura» e a definire l’innesto una «bestializzazione eticamente inaccettabile».
Già, perché Jenner non aveva solo oltraggiato Dio e il buon senso, ma lo aveva fatto iniettando in un ragazzino di 8 anni il vaiolo di una vacca. Più precisamente, gli aveva inoculato pus di vaiolo bovino, una variante animale del virus molto diffusa tra i lattai e gli allevatori delle campagne inglesi (che, guarda caso, dopo essersi ammalati non contraevano il ben più temibile vaiolo umano). Una soluzione rivelatasi salvifica, capace tuttavia di generare disgusto e disapprovazione non solo nel “popolino” incolto, ma anche presso le più lucenti menti del secolo.
Se ne lamentava Charles Darwin, il biologo britannico padre della teoria evoluzionista, che nel trattato “L’origine dell’uomo e la selezione naturale” scriveva: «Mentre tra i selvaggi i deboli di corpo e di mente vengono eliminati, noi uomini civilizzati lasciamo che i nostri “animali peggiori” propaghino il proprio genere». Poco importa dunque che il vaccino salvasse vite. Anzi, peggio. Ma Darwin era uomo di scienza, e di fronte all’evidenza non avrebbe potuto opporre un negazionismo duro e puro.
Sì, i benefici erano maggiori dei rischi, ma questo non bastò mai a spazzar via scetticismi e paure, soprattutto dopo che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la vaccinazione divenne obbligatoria in tutta Europa. La cura immorale e contro natura era ora anche illiberale; un’imposizione che metteva in discussione persino il diritto alla vita. Così almeno la concepiva Gandhi nella sua “Guida alla salute” del 1922, in cui descrive la vaccinazione come «una delle più fatali correnti deliranti del nostro tempo. Una coercizione barbara contro cui gli obiettori di coscienza devono difendere le proprie convinzioni, a costo di farlo da soli contro il mondo intero».
Il dibattito sul vaccino va avanti da oltre duecento anni e sembra uno di quei casi (neanche troppo rari) in cui l’evidenza scientifica non riesce a far breccia fino in fondo nelle irrazionali paure dell’uomo. Nel corso dei secoli il “no” all’innesto si è ripresentato con motivazioni sempre nuove e forte di endorsement d’eccezione. Accusare un “NoVax” di ignoranza diventa quasi imbarazzante se si pensa che anche uomini come Kant o Gandhi sono caduti vittime di ingiustificati timori. Si dice che prevenire sia meglio che curare, e secoli di prove lo dimostrano. Di fronte a questo, la paura per la statistica non dovrebbe impensierirci più di quanto non ci preoccupi l’essere colpiti da un fulmine durante un temporale.
Come ebbe a dire Albert Bruce Sabin: «Io ho creato il vaccino che ha eliminato la poliomielite come minaccia principale per la salute umana. Il resto è confusione di voi giornalisti».
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