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Esclusiva

Marzo 5 2021
«Se non vaccino, non sono negazionista». La risposta dei medici di base

Nessuna ideologia, ma una carente organizzazione territoriale, nonostante accordi di carattere regionale e nazionale

«Hai preso appuntamento?». «Non ancora, colpa del mio medico. Proprio a me doveva toccare un no-vax?». Confusione, equivoci, che spesso portano alla rassegnazione. Potrebbe essere un comune dialogo tra due sessantenni romani di Montesacro, che parlano alla fermata dell’88. Non aspettano solo l’autobus, ma anche il momento in cui si sottoporranno al vaccino contro COVID-19.

Dai primi giorni di marzo, i medici di famiglia hanno avviato le vaccinazioni. Merito dell’accordo nazionale sottoscritto, lo scorso 21 febbraio, dal ministro della Salute Roberto Speranza, dalla conferenza delle Regioni e dalle organizzazioni sindacali della Medicina Generale. Obiettivo? Coinvolgere questi professionisti nella campagna di profilassi. Alcuni però non hanno aderito, scatenando polemiche. Secondo Pierluigi Bartoletti, segretario per il Lazio della FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), c’è disponibilità da parte di tutti, ma il vero problema è l’organizzazione. «Il medico di famiglia non si occupa solo di vaccini e questa attività deve essere compatibile con le altre. Nonostante un sistema farraginoso, molti hanno iniziato. Adesso l’obiettivo è una programmazione che sia adeguata alle dosi disponibili».

Parere condiviso da Paola Pedrini, segretario per la Lombardia della FIMMG: «Ora tutta Italia ha capito quanto i medici di famiglia siano fondamentali nella lotta al virus, ma la Regione aveva preso l’iniziativa già prima dell’accordo nazionale, che ha solo specificato dove reperire i fondi. Siamo stati coinvolti dai primi di gennaio, sia per le vaccinazioni da fare nei nostri studi, che per dare un contributo nei vari centri dedicati. Pur a rilento, passi avanti si sono visti. Ad esempio, nella provincia di Pavia è stato possibile somministrare il vaccino Pfizer sul posto di lavoro, grazie all’accordo con alcune strutture ospedaliere che lo hanno conservato e consegnato nei giorni stabiliti. Lo stesso per la provincia di Sondrio». 

«Se non vaccino, non sono negazionista». La risposta dei medici di base

Diverse però le difficoltà, come accaduto con i software di adesione e prenotazione: «Quello della Lombardia è macchinoso, fa perdere tempo. Tante volte abbiamo chiesto che venisse semplificato, ma stiamo ancora aspettando». Per non parlare dei pazienti che pretendono di passare avanti, enfatizzando le loro malattie, trascurate fino a qualche mese prima. «Non si rendono conto, non stabiliamo noi le priorità. E poi non siamo ancora in grado di vaccinare sul posto di lavoro. Il paragone con la profilassi antinfluenzale è inadeguato, perché si concentra sugli over 65. Il coronavirus, invece, coinvolge tutta la popolazione. Per quanto organizzati, i nostri spazi non sarebbero sufficienti. Immaginate gli assembramenti».

E sulla vaccinazione a domicilio? «Diversi i problemi logistici – prosegue Pedrini – Prendete una fiala di Moderna, contiene 10 dosi da fare entro 6 ore. Vorrebbe dire chiudere lo studio tutto il giorno. Impossibile. Altri vaccini, invece, non possono essere trasportati. Ecco perché quello di Johnson&Johnson – che richiede un’unica somministrazione – sembra una buona soluzione».

Poi il nodo principale: l’adesione dei medici, volontaria, che ha raggiunto numeri importanti. Sui colleghi etichettati come dissidenti, o addirittura no-vax, la dottoressa Pedrini non esprime giudizi: «Non si tratta di essere negazionisti. È un problema di organizzazione, spesso incompatibile con la nostra routine lavorativa».

La pensa allo stesso modo il dottor Andrea Filippi, segretario nazionale funzione pubblica Cgil Medici: «Non c’entra la volontà, ma la poca chiarezza organizzativa.  Se il mio studio non è adeguato – perché entrata e uscita non sono separate, o non ho la possibilità di decontaminare la stanza tra un paziente e l’altro – allora la Asl deve mettermi a disposizione uno spazio. E non dimentichiamo la scarsità dei vaccini».

Per Filippi i ritardi dipendono dall’Europa e da una distribuzione non idonea, attivata con tempistiche sbagliate. «Senza specifici accordi territoriali, non può esserci un piano vaccinale per i medici di base. Spesso annaspano nella burocrazia, non hanno i codici per inserire i malati più fragili sui software. Ecco perché, a certe condizioni, non sanno dare risposte adeguate agli assistiti e possono rifiutarsi di vaccinare. Dobbiamo affidarci al loro senso di responsabilità, molto diffuso nella categoria. Per ora stanno rispondendo tutti in maniera positiva, tranne qualcuno. In quel caso, non verrà perseguito dalla legge, in quanto libero professionista. Se dovesse rivelarsi un no-vax, sarà l’Ordine dei Medici a intervenire, con provvedimenti disciplinari. Diverso il caso del sanitario che a sua volta è un soggetto fragile, e che non si è vaccinato per allergie o intolleranze. Sarà più difficile che si mobiliti per altre persone. Coniugare organizzazione, sicurezza e deontologia. È questa la ricetta da perseguire appena avremo i vaccini».

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