L’inizio dell’Ottavo Congresso del Partito comunista comincia con la fine di un’era. Raul Castro Ruz, ex presidente della Repubblica e fratello del líder máximo Fidel, si dimette dalla guida del partito. Prende la parola davanti ad una platea dimezzata dal distanziamento. Un seggiolino vuoto separa un delegato dall’altro. «Niente mi obbliga a questa decisione», sottolinea prima dell’ovazione che lo accompagnerà verso l’uscita di scena. Si conclude così la dinastia dei Castro: Fidel e Raul, fratelli al potere dal 1959. Sarà Miguel Diáz-Canel a guidare il partito unico dell’isola caraibica. Nel 2018 fu proprio Raul a consegnargli le chiavi della presidenza della Repubblica. Canel, 61 anni, ora rappresenta la nuova guardia del socialismo cubano.
Alessandro Zarlatti gestisce una scuola di italiano all’Avana. Negli occhi degli studenti che la frequentano riconosce i tratti di una nuova generazione. La stessa che ha potuto vivere la rivoluzione solo attraverso il racconto dei genitori, «che ha viaggiato di più, che ha saputo mettere in prospettiva la propria realtà». Una generazione, insomma, in grado di conciliare le uniformi «verde oliva» degli anziani rivoluzionari con gli abiti informali dei nuovi vertici. Il Congresso, infatti, ha conferito il potere ad una classe dirigente più giovane e – per motivi anagrafici – meno ancorata al mito della rivoluzione castrista. Personalità storiche, come quella del novantenne José Ramón Machado Ventura – ormai ex secondo segretario del Pcc – e del comandante rivoluzionario Ramiro Valdés, hanno deciso di seguire Raul Castro verso l’addio alla vita politica.
Vecchio e nuovo, continuità e rinnovamento: rette parallele che tracceranno il percorso dell’isola, con l’obiettivo di ricomporre i cocci di un Paese assediato dalla crisi economica. Ancor prima di diventare segretario, Diáz-Canel era riuscito ad approvare una riforma epocale, aumentando da 127 a oltre 2 mila i settori in cui viene consentito l’esercizio delle attività private. Un’idea di economia in controtendenza con la visione dello Stato socialista, ma «necessaria» secondo Alessio Carli, imprenditore italiano che vive e lavora a Cuba da più di vent’anni. «Spesso parlo con piccoli imprenditori che vorrebbero fare impresa, ma che allo stesso tempo si ritrovano a fare i conti con una matassa di lacci e lacciuoli; con un sistema che mette ostacoli dappertutto per giustificare la sua esistenza».
Con la sua azienda, Carli vende prodotti al governo dell’Avana. È abituato a confrontarsi con un Paese in cui «la politica conta più del business». Per questo sostiene che la liberalizzazione si stia concretizzando «più sulla carta che nei fatti». Ma anche se ci fosse la piena volontà di aprire al privato, ad oggi difficilmente la riforma voluta da Diáz-Canel troverebbe terreno fertile sul quale svilupparsi. La diffusione del Covid-19 ha messo in seria difficoltà un Paese con un’economia poco diversificata, colpendo una delle principali fonti di guadagno per le casse pubbliche: il turismo. Le misure restrittive imposte dalla pandemia hanno azzerato il flusso di visitatori, lasciando senza entrate quella rete di piccole attività fatte di ristoranti e case vacanza. Secondo il ministero degli Esteri italiano, nel 2020 il Pil di Cuba è crollato dell’11,3% rispetto al 2019.
«Ancora una volta dovrà contare solo su sé stessa per potersi rialzare», è la convinzione di Michele Curto. Con la sua associazione, accompagna le imprese italiane sul mercato cubano. Prima della pandemia passava gran parte dell’anno sull’isola, «circa centoquaranta giorni all’anno, anche due volte al mese». Curto racconta un Paese in continuo cambiamento. Il passaggio di consegne tra Castro e Diáz-Canel è solo l’ultimo in ordine di tempo. «Difficile non accorgersi dell’innovazione che ha vissuto Cuba negli ultimi anni», spiega. «Per quanto sia corsa in avanti, qualcuno ha sempre cercato di tirarla indietro». Il riferimento è all’embargo imposto dagli Stati Uniti come effetto della rivoluzione socialista del 1959.
Il bloqueo ha relegato il Paese in una condizione di isolamento, danneggiandone l’economia interna e il commercio con l’estero. Una misura che ha portato l’Assemblea generale dell’Onu a votare più di venti risoluzioni contro la stretta voluta dagli Usa. «Cuba è un Paese che sta esportando medici, ma a cui, allo stesso tempo, viene impedito di importare respiratori». Curto ha avuto anche la possibilità di vedere da vicino il lavoro dei medici cubani. Da volontario ha seguito una delle brigate arrivate dall’Avana per aiutare gli ospedali italiani durante la prima ondata dell’epidemia. Parla dei settori d’eccellenza, quelli su cui – complice l’emarginazione sul piano internazionale – il governo è stato costretto ad investire per garantire la sopravvivenza dei propri cittadini. È il caso del comparto sanitario: pubblico, efficiente e capillare, grazie al quale l’isola è riuscita a contenere l’epidemia, quella che ora punta a sconfiggere attraverso i suoi cinque candidati vaccini messi a punto nel giro di un anno. Tempi record per un Paese del Terzo Mondo.