Tra soddisfazione, perdono e richieste di giustizia. Le reazioni dei familiari dopo gli arresti parigini dei 10 ex terroristi rossi sono differenti, così come differenti sono le loro storie. Ad aver perdonato gli assassini di suo marito, il commissario Luigi Calabresi, è stata Gemma Capra, che in un dialogo con il figlio giornalista e scrittore Mario Calabresi apparso su Repubblica ha affermato di «pregare per gli ex terroristi, perché abbiano la pace nel cuore». Un cammino durato decenni, compiuto anche da Mario Calabresi e dai suoi fratelli Paolo e Luigi, che, a differenza della madre, non parlano di perdono, ma dell’importanza di «aver imparato a non vivere nell’odio e nel rancore».
Senza però dimenticare il senso di giustizia che ogni Stato deve garantire in primis alle vittime del terrorismo: «Credo anche io che con questo gesto sia stata finalmente sanata una ferita tra l’Italia e la Francia, una ferita che era aperta da troppo tempo. Anche perché la dottrina Mitterrand non è stata sconfessata da Macron con questi arresti, ma finalmente interpretata correttamente. Perché il presidente francese aveva previsto l’accoglienza e l’asilo in Francia per chi lasciava l’Italia, ma non per chi si era macchiato le mani di sangue. E quindi oggi questo è stato ribadito».
Il discorso cambia però da famiglia a famiglia, così come la rielaborazione del lutto e di un dolore che in alcuni casi è difficile, se non impossibile, da veicolare in perdono. «La nostra non è vendetta, è il rispetto della giustizia. Mi dicono che i terroristi sono persone cambiate, ma cosa significa? Sono persone che non hanno mai pagato per quello che hanno fatto. È arrivato quindi il momento di pagare: è corretto verso noi familiari delle vittime del terrorismo e anche verso loro stessi»: a sfogarsi con Zeta per raccontare quelli che la storia italiana ha classificato come gli anni di piombo è Maurizio Campagna, fratello di Andrea, agente della Digos ucciso da un gruppo dei Proletari armati per il comunismo (PAC) nel 1979. Luigi Bergamin, ideologo dei PAC e di numerosi omicidi tra cui quello dell’agente Campagna, figura tra i 10 terroristi latitanti da più di 30 anni arrestati martedì mattina a Parigi.
Ne erano scappati tre. Due si sono costituiti dopo un giorno. L’ultimo è in fuga. È l’epilogo dell’ondata di arresti che ha portato alla cattura di Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi delle Brigate Rosse. Di Giorgio Pietrostefani, Lotta Continua. E di Narciso Manenti dei Nuclei Armati contro il Potere territoriale. Al palazzo di giustizia francese, a Parigi, si sono invece presentati Luigi Bergamin e Raffaele Ventura, ex rivoluzionario. Ma per i dieci arrestati il carcere è ancora lontano. In attesa delle udienze, saranno tutti agli arresti domiciliari in libertà vigilata.
Il tono della voce di Maurizio Campagna è fermo e deciso, il suo telefono suona ininterrottamente da più di un giorno e risponde ad ogni domanda senza indugiare: «Non si trattava di una guerra: mio fratello stava uscendo inerme dalla casa della fidanzata quando fu freddato da una scarica di proiettili alla schiena. A volte mi viene da pensare che non si sia trattato nemmeno di terrorismo, ma di vigliaccheria allo stato puro messa in atto da persone che credevano di essere superiori nel loro modo di pensare. Altri hanno detto che erano persone che credevano in degli ideali. Ma si tratta di ideali sconfitti, ideali che si sono tramutati in violenza contro persone meravigliose che nella maggior parte dei casi lavoravano per il bene dell’Italia, come mio fratello, che faceva parte dello Stato».
«Qualcuno spera per loro di poter creare delle corsie preferenziali ed evitare il carcere perché sono anziani e malati, ma quanti detenuti in carcere in Italia sono anziani e malati? Eppure in pochi difendono i loro diritti». Non crede quindi in un probabile perdono o in una giustizia riparativa? «C’è chi perdona ma io non ho alcun interesse nell’incontrare i carnefici di mio fratello. Potrebbero solo dirmi che sono pentiti, ma non ci crederei neanche, sono troppe le bugie che hanno detto negli ultimi anni. Se però qualcuno di loro vuole fornire notizie in più per i giudici e per farci conoscere nuove verità ben venga. Vedremo gli eventi come andranno avanti, ma sono abbastanza fiducioso».
Il capitolo finale degli anni di piombo però è solamente cominciato, e potrebbe essere lunga la trattativa con la Francia per riportare i 10 arrestati in Italia. Così come è stata lunga la storia della diplomazia delle estradizioni tra Roma e Parigi. «La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha avuto l’ok dal nuovo esecutivo per portare avanti percorsi diplomatici e strategici diversi da quelli che c’erano stati finora. Con Mitterrand presidente anche i reati di sangue venivano identificati come legittimi nell’ambito del diritto d’asilo politico francese» spiega a Zeta Piero Colaprico, scrittore e giornalista del quotidiano La Repubblica, che per più di 30 anni ha raccontato i fatti accaduti a Milano legati al terrorismo e alla corruzione. Il contesto diplomatico tra Italia e Francia è mutato, e come ha anche affermato Cartabia per alcuni dei terroristi condannati si avvicinava la data della prescrizione del reato. Parole confermate da Colaprico: «Con Macron la situazione è cambiata: forse è anche per questo che la legale dei brigatisti Irene Terrel ha definito il tutto “un tradimento”. Ma più che di tradimenti, si tratta di cambiamenti politici».
Protagonisti della generazione della rivoluzione partita nel 1968, i 10 terroristi arrestati a Parigi si erano ricostruiti una seconda vita nella capitale francese, con nuove famiglie, figli, nipoti e soprattutto nuove prospettive lavorative per vivere in Francia quello che era ormai considerato un diritto maturato dopo una guerra civile. Oggi quasi tutti ultra-60enni – ad eccezione di Giorgio Pietrostefani, 78enne, condannato a 14 anni in qualità di mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi – per Colaprico gli ex brigatisti erano tutti «coetanei che hanno preso sin dall’inizio la decisione di combattere lo Stato in modo violento. È vero che l’Italia mancava di giustizia sociale, ma ho sempre preso le distanze e considerato sbagliate azioni violente del genere. Quei ragazzi hanno combattuto guerre perse in partenza e prive di alcun senso».