I muri di Madrid gridano «Comunismo o Libertad» («Comunismo o Libertà»). È lo slogan che ha accompagnato la campagna elettorale della candidata popolare Isabel Díaz Ayuso e che le ha consegnato la vittoria alle ultime elezioni comunali.
La sindaca, in piena pandemia, ha sfidato il governo del socialista Pedro Sánchez, tenendo tutte le attività commerciali aperte. «È stata la principale figura di opposizione sulla gestione dell’emergenza e questo atteggiamento l’ha favorita», spiega Antonio Barroso, Managing Director della società di consulenza Teneo.
Della stessa opinione Pablo Suanzes, corrispondente da Bruxelles del quotidiano spagnolo El Mundo: «Ayuso è stata bravissima a capire che i madrileni volevano solo tornare ad avere una vita normale. Ha aperto tutto: bar, ristoranti, musei. I lavoratori stavano dalla sua parte. La sinistra, invece, ha portato avanti idee astratte e per i cittadini la paura era che si chiudesse tutto. Ha fatto una scommessa: se il numero di morti fosse salito, ma non troppo, sarebbe valsa la pena aprire. È evidente che la gran parte delle persone la pensasse come lei».
Ayuso si è aggiudicata 65 dei 136 seggi a disposizione nel consiglio comunale della capitale. Il suo partito, il Partito Popolare (PP), ha stravinto le elezioni anche nei quartieri che storicamente votano a sinistra. «Si tratta di una vittoria cruciale in una regione importante – continua Barroso –. Tuttavia, Madrid non è la Spagna intera». All’interno della coalizione di destra, in molti attendevano il risultato della formazione radicale Vox, che però ha ottenuto un solo seggio in più rispetto alla scorsa tornata elettorale.
La capitale spagnola è dominata dal Partito popolare da ormai venticinque anni. Alcuni leader sono stati conservatori, altri più liberali, ma sempre appartenenti alla compagine di centro destra. «A Madrid, poi, il voto è quasi sempre “ideologico”: in campagna elettorale non si parlava di servizi pubblici, trasporti o scuole, bensì di comunismo o libertà, destra o sinistra, valori più grandi delle particolarità», spiega Suanzes.
A trionfare, una figura che fino a tre anni fa era estranea al mondo politico: Ayuso, infatti, era una social media manager. È arrivata quasi per caso nel Partito popolare che, travolto dalle accuse di corruzione a livello nazionale, ha cambiato la dirigenza, sostituendo la generazione dei 50-60enni con figure nuove. Tra queste, anche Pablo Casado, oggi leader del PP.
La vittoria di Madrid è un segnale importante nella politica spagnola perché ottenuta in una regione in cui Vox è piuttosto popolare. Un potenziale problema per Casado, che l’anno scorso, pur di recuperare voti, decise di avvicinarsi alla formazione di destra radicale: una strategia rivelatasi poco efficace. L’unica a ottenere risultati positivi è stata proprio la sindaca. Il rischio, per il leader del PP, è che la donna, forte di questo successo, possa puntare a essere leader anche a livello nazionale.
«Ayuso non è una Meloni spagnola e non somiglia neanche a Salvini: durante la campagna elettorale, non ha usato toni identitari o riferimenti all’immigrazione, ha fatto un discorso più classico, di una destra più “britannica”. A livello comunicativo, somiglia al Berlusconi dei primi anni Novanta, con il dominio dei media. Spesso si fa il paragone con l’ex primo ministro del Regno Unito, Margaret Thatcher, ma lei ha sempre respinto queste accuse. Vuole far leva sull’orgoglio di essere di destra, ultimamente sopito, e ha una linea molto liberista in economia», spiega Suanzes.
Chiunque sarà il leader della destra spagnola, dovrà vedersela con Pedro Sánchez, attuale premier e capo del partito socialista (PSE) che governa con un’ampia coalizione di sinistra. All’interno, anche la formazione populista Podemos, ora orfana del suo leader, Pablo Iglesias, che ha deciso di lasciare la politica dopo il deludente risultato di Madrid.
Per Barroso, «in questo momento il governo di Sánchez è in minoranza, ma gli avversari non hanno numeri sufficienti per far approvare una mozione di sfiducia. In Spagna, per l’opposizione, non è mai facile sfiduciare un governo: bisognerebbe mettere d’accordo tutti i partiti su un nome alternativo».
Le dimissioni di Iglesias, però, potrebbero essere un fattore positivo per i socialisti: è una figura divisiva, polarizzante, che immobilizza l’elettorato moderato. «Allo stesso tempo – continua Barroso – il problema è che nella capitale i socialisti hanno perso le elezioni e che questo nuovo partito, Más Madrid, nato da una scissione di Podemos, ha preso più voti dei socialisti stessi. Questa nuova formazione di centro sinistra comprende politici come Íñigo Errejón, vecchio numero due di Podemos, e in futuro potrà causare problemi a Sánchez, portandogli via voti di questo segmento di elettorato».
Más Madrid ha preso una manciata di voti in più rispetto ai socialisti, ma è molto difficile che diventi forte in tutta la Spagna: Podemos è ancora influente, nonostante stia perdendo consensi in varie regioni come i Paesi Baschi, la Galizia e l’Andalusia. In questo momento, per i socialisti, non avrebbe senso andare al voto perché i popolari sono ancora molto forti.
In più, a ottobre arriveranno i fondi europei destinati alla ripresa post pandemia (Recovery Fund). Per Barroso, «Sánchez vorrà gestire queste risorse come sta facendo il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, con la differenza che l’ex numero uno della Banca centrale europea, con ogni probabilità, non si presenterà alle prossime elezioni. La gestione ottimale di questi soldi, però, può essere un elemento chiave per far ripartire la Spagna e far riprendere consensi al partito di governo».