Roma, Monti Tiburtini, As Verderocca. «Ma non potevamo prenderlo più lontano sto campo?» Orario prestabilito per il fischio d’inizio: h 21.00. Ore 21.07 si alza il primo telefono: «Carlo? Dove *** sei?» «Sto arrivando, v’o giuro». Qualcuno inizia a canticchiare una tarantella napoletana. Ore 21.10 Carlo fa la sua comparsa sul sintetico, ancora in camicia bianca, stirata: «Ué ragà, m’agg’a cambià». Urla, imprecazioni, «Carlo veloce!». Ore 21.15 finalmente si può iniziare.
L’idea di presentarsi al campo in una bipartizione cromatica si infrange immediatamente contro il duro muro della realtà. «Ma non dovevi venì in bianco?». Ma ecco che arriva il previdente Francesco, anche detentore del sacro pallone, ergo dominus indiscusso. Estrae dal nulla delle casacche, alcune mezze rotte, altre semi-integre, se non altro uguali per colore. Vengono distribuite ma non sono abbastanza. L’armata brancaleone inizia così la sua avventura scalcinata. Carlo giocherà tutta la partita coi “blu” con addosso una maglia rossa del Manchester che fatica a contenere la sua fisicità, che invece espone, fiero.
I mormorii della panchina, in prevalenza composta da quote rosa, sono molteplici, Erika visibilmente interessata, a ben 5 minuti dall’inizio comincia a chiedere «ragazzi, ma quanto manca?». Si discute più volte sul punteggio. «Ma stavamo 3 a 1 o 2 a 2?» le fa eco Camillo. «Io comunque preferisco la pallavolo».
All’esterno del campo, prima del fischio d’inizio il mondo animale si studia a vicenda, c’è aria di sfida, di tensione. Sfavoriti erano quelli che non avevano Michele, detto el toro, la cui prestanza fisica viene osservata e rimarcata correndo di orecchio in orecchio durante il riscaldamento. «Oh ma hai visto che gambe che c’ha?».
Dopo una prima mezz’ora di tira e molla e di scontro alla pari ha inizio il predominio dei colorati, che non lo molleranno più, nonostante si giochi quasi solo nella loro area di rigore. Le loro azioni offensive sono una blitzkrieg continua, vere incursioni armate. Gian, di stazza ma precisione tennistica scatta sulla fascia. Francesco el corto, capocannoniere incontrastato, duetta bene con Valerio che in gran spolvero sfoggia un attillatissimo completino integrale SS Lazio, indubbiamente il più elegante. Più indietro Simo minima spesa, massima resa, le cui grandi doti tecniche devono fare i conti col fiato che è poco quasi quanto la voglia che ha Fadi di trovarsi in quel luogo.
L’oriundo palestinese fino all’ultimo prova a sfilarsi dalle sue incombenze, ma viene portato praticamente di peso al campetto e costretto a giocare pena ricatto del Mossad. Sarà detto l’immobile, non tanto per il suo tenere la posizione in marcatura, ma perché si piazza a guardia dei pali, e lì rimane. Qualcuno giura di averlo addirittura visto fumare il narghilé sul filo della porta. A nulla valgono i vari «cambiooo». Per lui “portieri volanti” è un concetto che perde di significato, si smaterializza. «Vedete che mo’ che sto qua la squadra fuori unziona?»
Lorenzo, in Veneto lo avrebbero chiamato el murer. Si presenta in orgogliosa canotta da capomastro biscottato al sole, all’appello mancherebbe solo una Peroni da 66 e il pacchetto di Marlboro Rosse d’ordinanza, ma la physique du rôle c’è. La sua voce è quella che si sente di più, dalle retrovie tiene alto l’umore dei suoi ragazzi. Michelangelo cade più volte, si sbuccia l’impossibile, ginocchia, gomiti. Pietrella fa sentire la sua presenza al biennio che lo ha rimpiazzato, mordendo alle caviglie.
In panchina nel frattempo qualcuno si apre una Corona, un po’ di nascosto, senza apribottiglie, battendola su uno spigolo, metodi punk. Viene aperto pure un pacchetto di San Carlo Rustiche, all’udire lo scrock Gian ne reclama una manciata, torna in campo con la bocca piena, felice, «eh, non avevo mangiato». Qualcuno fumacchia una sigaretta «Non sbronzate sul green che qua ce cacciano».
Alla fine gli urli, qualcuno fischia anche se manca più di un minuto abbondante alla fine. Gli animi sono esausti. Il bomber Francesco collassa sul ruvido sintetico. «Mannaggia a me non dovevo magnà prima de giocà». Più in là invece si esulta. Si brinda, Natasha fa la telecronaca da bordocampo, pronta per rimpiazzare le biondone di SkySport. Qualcuno mormora: «Certo però quel fallo c’era». «Oh le gambe tienile chiuse la prossima volta». «Sìsì, quando vincerai potrai parlare, mo’ no». Ma alla fine arriva il buon Carlo a fare da paciere, a mettere un punto fermo: «Regà, ognuno se la gioca con le armi che ha». Alla prossima.
Le pagelle
Blu
Michelangelo, voto 5,5. Cerca Dossi tutta la partita, ma non lo trova. Non è colpa sua, Adriano non gioca. Se ne accorge e comincia a giocare da solo. Funambolo sfortunato, poche volte infila la giocata. Tartaruga Ninja.
Pietrella, voto 5. Ma chi è? Boh, nessuno l’ha mai visto. I maliziosi gridano al raccomandato. Qualcuno ha letto la sua firma a sfondo rosa. Lui percepisce diffidenza, ma si adatta da professionista. Tiene la fascia destra, prova qualche giocata, mai decisivo. L’ingegner Nennetti.
Musa, voto 6. Svogliato, ma educato. Arriva puntuale e in completo da tennis, pronto per il doppio misto. Dal borsone spunta pure un manico… ah no, è la sua pipa elettrica. Una stantuffata e fa come Popeye. Dura 5 minuti, poi si traferisce in porta. Treno a vapore.
Antonelli, voto 6. Maglietta degli Stati Uniti e tanta voglia di dimostrare. Tra gli effetti del long covid deve esserci anche la rosicata, altrimenti non si spiega il nervosismo. Tra un pianto e l’altro, qualche bella giocata e qualche gol. Corre e dà tutto, ma viene lasciato troppo solo. Zona rossa.
Ferraioli, voto 7. In ritardo al campo. Il gestore gli chiede se deve giocare, lui risponde “no”. Si presenta senza completino, fortuna che Antonelli ne ha uno in più. Quando lo indossa, non ce n’è per nessuno. Geometra del rettangolo, smista e distribuisce da perno della difesa. La ruleta dà equilibrio ai 5, cerca sempre michi maus lì davanti. Distratto solo quando pensa al Sarno. El diez.
Colorati
Ottaviani, voto 7. Canotta e Peroni. Lo scambiano per il custode del circolo sportivo. Occhi iniettati di sangue e sostanza da vendere. Equilibrio e mentalità. A un certo punto crede di aver segnato, ma era la rotula di Antonelli. Bronzo di Riace.
Di Gregorio, voto 5. Qualcuno lo scambia per l’arbitro, altri per il telecronista. A un certo punto, riceve un pallone e ricama l’assit. Poi rutta. Un Negroni di troppo, dicono alcuni. Ma lui sa di non poter fare meglio di così. “Cambio”. Qualche spallata e un gran maldipancia… per chi lo guarda. Adem Lijaic.
Passerini, voto 7. Baluardo difensivo. Colleziona anticipi, annulla Antonelli. Saggio, ma troppo lento. Gonfia la rete più volte. Artefice dell’equilibrio dei cinque, svolazza solenne dal centro alla fascia. Alto Passero.
Stati, voto 8. Entra sul prato col culo girato, pallone in mano e la voglia di riportarselo a casa. Ci riesce. Dalla prima giocata è chiaro: è l’uomo della provvidenza. Quattro gol e migliore in campo. Litiga con Di Gregorio per la porta, ma Simone lo batte con l’esperienza. L’ultimo gol gli costa quasi il coma. Il folletto.
Lento, voto 6,5. Tratti in inganno dal nome, gli avversari lo sottovalutano. Completo nero e aquila imperiale sul petto. Sguscia, viene sempre a prendersi il pallone. Marca tutti, soprattutto le ragazze in tribuna. Qualche palo, ma solo dentro al campo. Don Giovanni.