“Sono le cose che faccio perché ce credo o per senso de colpa”. Così il fumettista Zerocalcare (nome d’arte di Michele Rech, classe 1983) ha spiegato la scelta di trattare temi di rilevanza politica e sociale, che nell’ultimo periodo sono diventati preponderanti rispetto a quelli autobiografici. “Se uno guarda quello che effettivamente ho fatto sono tutte cose che mi sembrava di essere costretto a fare per l’urgenza di quel momento lì”. Per lui, infatti, disegnare i fumetti è qualcosa di molto simile ad un’arma da mettere al servizio di una causa. “Quello che faccio può essere considerato una forma di partecipazione politica soltanto nella forma in cui [i fumetti] sono stati pensati collettivamente, con persone che avevano a cuore quelle cause, all’interno di un percorso collettivo per sostenerle”.
“Io ero tipo er discount delle ripetizioni”
Zerocalcare forse ha sempre saputo che nella vita voleva “fà i fumetti”. Prima di trasformare la sua passione in lavoro, si è cimentato nella nobile arte di inviare curriculum vitae, trovando sempre lavori che non lo gratificavano. Fino al 2011, quando Michele ha abbandonato i panni di insegnante di ripetizioni “ai regazzini de Roma nord” per vestire quelli di Zerocalcare. Se nella sua prima pubblicazione, “La profezia dell’armadillo”, ha raccontato episodi della sua infanzia e della sua adolescenza, nel suo ultimo albo, “Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia”, ha dato spazio anche a tematiche di attualità. Dalla rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere durante il lockdown, ai rischi della cancel culture e del politicamente corretto, fino alla guerra tra la Turchia e l’unione delle comunità del Kurdistan (KCK).
C’è chi non strappa lungo i bordi…
Ed infine, il “trauma” della realizzazione della serie TV “Strappare lungo i bordi” con Netflix. “Da quando è uscita la serie, la mia vita è diventata così invivibile che non mi va di stare ingolfato in mezzo alle polemiche”. Tra quelle sull’uso del romanesco e le accuse di comunicare “con la lagna e il disagio come dimensione esistenziale”, le critiche sono arrivate anche dalla Turchia, che lo ha accusato di aver inserito la bandiera del PKK, il partito dei lavoratori curdo, in alcune scene della serie TV.
Il ruolo che gli è stato cucito addosso
Oggi i fumetti di Zerocalcare sono diventati, suo malgrado, un modo per avvicinarsi ai temi di attualità per tutte le generazioni. Soprattutto attraverso la rappresentazione di “persone brutte, che però cerco sempre di abbellire” e quel senso dell’umorismo dissacrante che lo caratterizza. Un ruolo che Michele percepisce come soffocante perché, in fondo, lui si sente ancora quel ragazzino di Rebibbia, emblema delle “persone impicciate che si sentono sempre inadeguate”.