«Per le donazioni rivolgersi al civico 184». È il cartello attaccato al cancello della chiesa di Santa Maria di Stella Maris a Ostia Lido, sul lungomare Paolo Toscanelli. Matteo Deluca, 24 anni, è un volontario della Comunità di Sant’Egidio che dal 2014 collabora con la Scuola della Pace del suo quartiere e viene qui tutti i venerdì pomeriggio. «Ho conosciuto l’iniziativa al liceo grazie ad un’amica», spiega, «Essendo stato sempre interessato al volontariato ho iniziato a dare una mano e da allora non ho più smesso».
La Scuola della Pace di Ostia è una delle tante fondate nel mondo dalla Comunità. Nasce come doposcuola per bambini con situazioni problematiche, ma ben presto ha mostrato il potenziale per andare oltre questo obiettivo ed è diventata un punto di riferimento e un centro di aggregazione per chiunque voglia partecipare. «La scuola», continua infatti Matteo, «trasmette un messaggio di integrazione di cui siamo il principale veicolo» e benché l’ispirazione provenga dal comandamento cattolico di aiuto per il prossimo, la fede non è un requisito necessario per partecipare.
Alla “scuola” si accede dalla chiesa che mette a disposizione i locali. Sul retro si entra in un ambiente che effettivamente sembra voler ricordare una scuola elementare, ma è chiaro che non si tratti del luogo più adatto ad accogliere decine di bambini. Per questo la Comunità ha fatto da tempo richiesta per ottenere i più ampi locali abbandonati dell’ex Ufficio Tecnico del Municipio, dall’altro lato della strada, ma la proposta si è persa nelle spire della burocrazia romana.
Tutto questo però non scoraggia i volontari, quasi tutti ragazzi delle superiori, che entrano in contatto con la Comunità tramite l’alternanza scuola-lavoro e poi rimangono grazie al legame di affetto che si crea con i piccoli. A 24 anni Matteo è già un veterano e dirige l’allestimento dei banchi per le diverse attività, giusto in tempo per quando un allegro scampanellio annuncia l’arrivo dei primi bambini. Chi ha compiti da fare viene aiutato a svolgerli, chi non ne ha si dedica al lavoretto di Natale. Il clima è allegro e giocoso, sembra una famiglia in cui i più grandi si prendono cura dei fratellini minori, anche con un pizzico di severità quando serve. «Non ci devono chiamare maestri, siamo loro amici», dicono i volontari. A ricordare i tempi che viviamo, i flaconi di igienizzante e le mascherine, tassative per volontari e bambini.
La “classe” al completo dipinge un quadro multietnico e multireligioso, che va sempre tenuto in considerazione in tutte le attività, dalla semplice merenda ai lavoretti. Ma quando i bambini sono riuniti intorno al tavolo a studiare italiano e matematica si ha la prova che l’integrazione è una prospettiva concreta quando è perseguita col giusto impegno. Purtroppo il sistema scolastico non sempre ha i mezzi per spendere ore, come fa Matteo, a insegnare l’alfabeto a una bambina straniera. «Sono le stesse maestre a segnalarci situazioni di questo tipo», spiega Ginevra Simoni, la coordinatrice del centro, «Molti bambini vivono contesti difficili: alcuni hanno genitori in carcere, altri vivono nelle baracche dell’idroscalo. Cercano sostegno materiale ma soprattutto emotivo. Noi cerchiamo di esserci sempre, anche solo per andare a prendere un caffè a casa loro». Prima della pandemia, per le feste si organizzavano pranzi con le famiglie di tutti e anche una vacanza estiva, che nell’ultimo anno è stata sostituita da una Summer School, un modo per rimanere sempre in contatto nonostante le restrizioni. Per questo Natale è in programma il “Rigiocattolo”, la vendita di giocattoli usati i cui proventi saranno devoluti alla distribuzione di farmaci contro l’HIV in Africa.
Dentro la scuola però non si avverte alcun disagio. La timidezza non esiste e quando arriva un nuovo collaboratore sono i bambini i primi a coinvolgerlo, svolgendo parte attiva nel percorso di integrazione. Ma l’esperienza aiuta gli stessi volontari a maturare la consapevolezza di poter dare forza a un cambiamento che superi i confini di Scuola della Pace, come è successo a Matteo: «Ora vedo una realtà di cui prima avevo solo sentito parlare. Essendo parte attiva dei volontari di Ostia sento la voglia di impegnarmi sempre di più per un territorio che ha tante potenzialità inespresse».
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