«Se uno mi vuole inchiodare a un solo tipo di film, non ci sto». Nanni Moretti, lapidario, racconta già così alla stampa estera del Globo d’oro il senso del suo Tre Piani, primo adattamento da un romanzo nella sua filmografia.
La scelta di rinunciare a un soggetto originale in favore di un’esperienza altrui, raccontata già con le parole di un altro, Eshkol Nevo, è stata però naturale: «ho sentito che il libro mi parlava, che mi riguardava, che parlava anche di me»
Il legame tra il testo di Nevo e la storia di Moretti non è immediato. Non era facile ripensare in una veste cinematografica i tre monologhi che compongono la narrazione originale. Il regista sceglie però di costruire un tempo e un luogo diverso, «immaginando un prima e un dopo, oltre i climax in cui si arrestano i racconti di Nevo» e di creare nuovi legami con i personaggi, che anzi fatica a chiamare tali. «Sono persone per me»
Anche i tre piani dell’anima – Es, Io e Super Io – a cui fa riferimento il romanzo, qui perdono il legame diretto con la psicoanalisi freudiana e si concretizzano invece in uno spazio di condivisione dell’esperienza, una palazzina di un quartiere residenziale di Roma, «una scatola vuota usata come un teatro di posa» e un luogo di molteplici solitudini.
Il filminfatti «racconta la nostra tendenza a vivere vite isolate, a fare a meno di una comunità che pensavamo non esistesse più e che invece, anche alla luce della pandemia che stiamo vivendo, assume nuovi significati». Diventa «un invito a uscire dalle proprie palazzine a capire che il mondo è un po’ più grande di quei tre piani»
Un invito all’esperienza condivisa è anche la ferma scelta di Nanni Moretti, ancora oggi, di concedere il suo film alle piattaforme streaming. «Il mio lavoro di spettatore influenza il mio lavoro da regista» e in esso è imprescindibile il rapporto con la sala, che non è solo lo schermo al buio su cui proiettiamo i nostri desideri, come scriveva Lacan, ma il momento di fruizione collettiva e sociale che crea nuovo senso.
Con Tre piani, dunque, Nanni Moretti non dà inizio a una nuova fase del suo cinema, come molti hanno interpretano questo puro dramma, privo della sua usuale ironia, né fa un film commerciale.
«In Italia c’è sempre un motivo per non guardare un film italiano, ma il mio è un film non ruffiano che è andato molto meglio di quelli fatti per il pubblico e poi ignorati»
Foto credits copertina: 01 Distribution
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