Parlare di Pnrr e transizione ecologica significa parlare di transizione urbana. Le città occupano il 3 per cento della superficie terrestre, ma sono responsabili del 60-80 per cento del consumo energetico e del 75 per cento delle emissioni di carbonio mondiali (fonte: Agenda 2030 dell’Onu).
In Europa, dove tre quarti degli abitanti vivono in città, sfruttando un reticolo di insediamenti le cui tracce possono essere fatte risalire fino ai tempi dell’Impero Romano, queste percentuali aumentano.
Le metropoli sono al centro del Green New Deal, il piano di riforme economiche e sociali dell’Unione Europea per combattere il cambiamento climatico. In Italia, il nuovo patto verde è protagonista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che alla transizione ecologica dedica il 37 per cento delle risorse per un totale di quasi 72 miliardi di euro. Di questi, agli enti locali è affidata la gestione di 20 miliardi di cui le città metropolitane sono responsabili per circa il 42 per cento.
La rivoluzione verde è iniziata e continuerà a procedere grazie a loro perché «nelle città sono concentrati i grandi inquinatori, i cittadini più facoltosi in grado di investire nel green e le amministrazioni pubbliche più sensibili e con più esperienza nei confronti dei temi ecologici», spiega Valentino Piana, esperto di economia sostenibile dell’University of Applied Sciences Western Switzerland di Valais.
Foreste urbane, edifici all’avanguardia e reti elettriche intelligenti capaci di ridistribuire l’energia nel tessuto cittadino per evitare sprechi: la green new city del futuro immaginata nel Pnrr ha l’ambizione di ripensare il nostro modo di vivere.
Energia
Tagliare il consumo superfluo di energia è il primo passo verso una riduzione delle emissioni inquinanti. Gli edifici italiani rappresentano quasi la metà dei consumi energetici del Paese e la maggior parte è stata realizzata prima che entrasse in vigore la normativa per il risparmio energetico del 2015. Finanziare la loro ristrutturazione energetica e sismica è uno delle voci più sostanziose del Pnrr che, a riguardo, interviene con detrazioni fiscali al 110 per cento.
Isolamento termico delle facciate per ridurre l’utilizzo di termosifoni e condizionatori, installazione di pannelli solari, tecnologie di riciclo dell’acqua: il privato che diventa green guadagna in termini economici e di qualità della vita.
E se a fine giornata le nostre case producessero più energia del loro fabbisogno? Si potrà vendere o regalare l’energia in eccesso al proprio vicino di casa tramite sistemi di smart grid, reti elettriche capaci di redistribuire l’energia in modo da ottimizzarne il consumo. Tecnologie che potranno essere utilizzate anche per supportare l’alimentazione di veicoli elettrici e colonnine di ricarica che nel giro di pochi anni saranno parte integrante dell’ecosistema delle nostre città.
Entro il 2026, quando gli interventi del Pnrr saranno completati, i punti di ricarica realizzati saranno più di 20mila, di cui 13mila solo nei centri urbani. Il traffico cittadino sarà ridotto di oltre il 10 per cento grazie a 231 nuovi km di rete servita dal trasporto pubblico a basse o zero emissioni.
Verde
Il Piano nazionale punta a rigenerare il verde urbano piantando 6,6 milioni di alberi e realizzando 6.600 ettari di foreste in modo da aumentare la qualità dell’aria e del paesaggio di tutte le principali città italiane, che oggi non godono di una buona qualità dell’aria.
La percentuale della popolazione urbana sottoposta a livelli di inquinamento superiori a quelli consentiti dall’Ue in Italia è del 34,4 per cento, contro il 14,4 della Germania e l’11,1 della Francia (Fonte: European Environment Agency).
Gli alberi e le foreste urbane saranno i filtri naturali pensati per contrastare questo fenomeno, ma la loro utilità sarà ben maggiore. Contribuiranno a ridurre l’inquinamento acustico e i consumi energetici grazie alla loro capacità isolante che renderà le nostre città più fresche e meno rumorose.
Il nuovo ecosistema urbano sfrutterà una ramificazione di nuove piste ciclabili che saranno costruite in 40 città, in particolare quelle che ospitano le principali università del Paese in modo da coinvolgere l’utenza più giovane e pronta a sfruttare il cambiamento. Il progetto prevede 365 km di nuove piste ciclabili cittadine e altri 1.235 km di piste ciclabili turistiche. Il 50 per cento delle risorse sarà destinato alle regioni del Sud.
Conflitti
Le proteste sul rincaro dei carburanti viste in Francia nel 2019 hanno mostrato che le politiche climatiche possono avere ricadute sociali. Diversi osservatori hanno sottolineato l’importanza di pianificare politiche di welfare a sostegno di quei lavoratori che rischiano di essere esclusi dalla nuova economia verde.
«Prevedere un “ponte” che miri a reintegrarli è fondamentale, ma se il lavoratore pensa che per salvare il suo impiego si fermi la transizione ecologica si sbaglia di grosso. O la sua azienda cambia i suoi modi di produzione o verrà travolta e con essa i suoi dipendenti» sostiene Piana, secondo cui i veri conflitti a cui dovremmo prestare attenzione sono altri: «Vi immaginate cosa succederebbe se si interrompese la fornitura idrica a una metropoli anche solo per due settimane, come è già successo a Città del Capo? Mancherebbe acqua potabile dai rubinetti, le fogne non riuscirebbero a smaltire gli scarichi, la gente scapperebbe in campagna e le tensioni sociali esploderebbero».
In uno scenario di questo tipo non è difficile pensare città o quartieri limitrofi lottare tra loro per accaparrarsi gli aiuti e le risorse idriche che arriverebbero in soccorso. Adattarsi al cambiamento climatico genererebbe conflitto: cercare di mitigarlo, come cerca i fare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, è l’unica strada percorribile.
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