«L’iniziale associazione con il Coronavirus era stata ipotizzata in quanto alcuni dei casi riscontrati in Scozia si erano verificati in concomitanza con l’infezione da SARS-CoV2 o in soggetti con pregressa infezione. Tuttavia, tale associazione non è stata confermata in altri pazienti e molti dei soggetti colpiti hanno un’età inferiore ai cinque anni, che non sono stati vaccinati». La dottoressa Elena Scarpato, medico specialista in pediatria presso il Dipartimento di Scienze mediche traslazionali dell’Università Federico II di Napoli e membro della Società Italiana di Pediatria, esclude un legame diretto tra la misteriosa ondata di epatite acuta, che da fine aprile ha colpito oltre 200 bambini in tutto il mondo, e il Covid.
Dal Regno Unito all’Italia, passando per Spagna, Irlanda, Danimarca e Paesi Bassi, l’epatite acuta è arrivata anche oltreoceano, dove in 25 stati degli USA (tra cui New York, Florida, California, Texas) e a Puerto Rico sono stati registrati già 109 casi di infezione e cinque morti. Tra questi, il 14% dei bambini malati aveva subìto un trapianto di fegato dopo aver contratto l’infezione. «Al momento non sono note associazioni rilevanti con patologie pregresse dei soggetti colpiti e le evidenze scientifiche non hanno dato riscontro a nessuna delle ipotesi formulate sull’origine di questi casi di epatite acuta», commenta la dottoressa Scarpato.
Ma non si esclude neanche un ruolo svolto dall’Adenovirus, una famiglia di virus a DNA che compare soprattutto nei bambini, causando diversi tipi di infezione che si manifestano con sintomi simili a raffreddore, vomito e diarrea. Anche in questo caso, la dottoressa Scarpato precisa che «i recenti dati inglesi suggeriscono il ruolo di uno specifico ceppo. Tuttavia, sono necessari ulteriori dati per poter trarre conclusioni più precise. È possibile che entrino in gioco fattori individuali di predisposizione, che determinano una risposta abnorme dopo essere entrati in contatto con il virus, o un cambiamento nella genetica del virus stesso, che lo rende in grado di determinare più facilmente un’infiammazione epatica. Comunque, al momento si tratta solo di ipotesi non confermate».
Riguardo ad un coinvolgimento dell’Adenovirus, secondo un gruppo di esperti dello UKHSA (United Kingdom Health Security Agency) gli effetti del lockdown potrebbero aver indebolito il sistema immunitario dei bambini, costringendoli a vivere in un ambiente protetto come quello casalingo ed esponendoli a maggiori probabilità di contrarre il virus. Oppure, non si esclude la comparsa di una nuova variante più aggressiva dell’Adenovirus, ma non ci sono ancora conferme definitive a riguardo.
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