«Siamo piccoli ma abbiamo anche noi i nostri tesori». Totò ha gli occhi affaticati dal tempo, ma vigili ed esperti come quelli di chi ha attraversato almeno sette decenni, tutti passati nella sua Gerace. Ogni mattina, alle nove e trenta in punto, apre la Cattedrale, centro della cittadella calabrese. A Gerace, in provincia di Reggio Calabria, Antonio “Totò” Gratteri è conosciuto da tutti: il suo incedere lento ma lieve, le mani grandi e indurite dai lavori manuali, la barba brizzolata e il sorriso beffardo. Quando ha saputo che l’artista rinascimentale Raffaello Sanzio avrebbe soggiornato nel Museo Diocesano di cui è custode è facile immaginare la tranquillità con cui ha accolto un nuovo tassello della grande storia tra i suoi amici di sempre: un arazzo seicentesco, ornamenti liturgici, statue di santi e pregiati dipinti.
È stato il mecenatismo di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, legato alla città da motivi storici, a far sì che il prezioso arazzo di tradizione raffaellesca ‘Ananias et Saphira‘ arrivasse a Gerace. A Totò e al fratello Giuseppe “Pepè” basta uno sguardo per individuare le tecniche di manifattura dell’arazzo e descrivere per il visitatore i movimenti dei tessitori, quasi fossero stati loro due a intrecciare i fili preziosi.
Il manufatto del XVII secolo è stato creato sulla base di copie dei cartoni realizzati da Raffaello quando, nel 1516, papa Leone X lo convocò per commissionargli un ciclo di dieci arazzi che riportano scene tratte dagli Atti degli Apostoli. Le opere, oggi conservate nella Pinacoteca Vaticana, dovevano adornare il registro inferiore degli affreschi della Cappella Sistina. Raffaello non poteva immaginare che dalla bottega fiamminga di Pieter van Aelst i suoi modelli sarebbero stati ripresi in tutto il mondo e che uno di questi sarebbe stato la base per l’arazzo che in questa primavera del 2022 è giunto a Gerace. Eppure, la storia della ‘cittadella’ della provincia di Reggio Calabria ha incontrato quella degli arazzi papali quando il cardinale Luigi d’Aragona, secondo marchese di Gerace, vide per primo a Bruxelles una delle opere appartenenti al ciclo e ne riferì a Leone X, nel 1518.
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L’arazzo Bilotti, che si troverà in città fino al 5 settembre, è la replica, con alcune varianti, dell’opera raffaellesca che aveva ad oggetto la storia della morte di Anania e Saffira, membri delle prime comunità cristiane, colpevoli di aver tenuto per sé denaro destinato alla comunità. I personaggi centrali della scena, S. Pietro e S. Paolo, richiamano le figure di Platone e Aristotele nell’affresco della Scuola di Atene (1509-1511) nella stanza della Segnatura in Vaticano.
La loro postura, grave e solenne, si contrappone alla concitazione della scena, piena di elementi, personaggi e dettagli, per la tipica tendenza degli arazzieri fiamminghi a riempire ogni spazio vuoto. Soffermandosi sul lato sinistro della composizione, si deve ammirare Saffira, intenta a contare i denari sottratti alla comunità, per apprezzare il suo atteggiamento composto, elegante. Nonostante Raffaello fosse consapevole di stare rappresentando una peccatrice, la raffigura con l’atteggiamento di una dea bellissima e lontana, che richiama la vicina immagine di Atalanta, principessa di Arcadia. Nella prima stanza del Museo Diocesano, Ananias e Saphira si trova accanto a un altro arazzo realizzato alcuni decenni dopo nel laboratorio di Jan Leyniers ma che, invece di un episodio religioso, ha a oggetto un mito classico tratto dalle Metamorfosi di Ovidio: la caccia al cinghiale calidonio.
La composizione barocca e teatrale, la concitazione della scena, la brillantezza dei colori, la bellezza di Atalanta che osserva l’abbraccio tra i personaggi centrali, Meleagro e Castore, non si scontrano con il soggetto sacro distante pochi metri. Questa disposizione degli arazzi è allegoria sottile della lega di cui è composta Gerace che, definita ‘la città delle cento chiese’ per la presenza di numerosi luoghi di culto cristiani, trova le sue radici in una compresenza di storie, normanna e bizantina, classica e medievale; di religioni, dalla cattolica all’islamica fino a quella ebraica. è il luogo dove anche le esigenze liturgiche devono rispettare la disponibilità delle cose profane, perché quando Totò dice che «il porcelluzzo (salvadanaio) è ridotto pelle e ossa», non c’è sacra intercessione che tenga.
Secondo alcuni studiosi, la prima stampa raffigurante la Morte di Anania fu realizzata nel 1518, su indicazione dello stesso Raffaello, a testimoniare la volontà dello stesso artista di diffondere il soggetto.È lo stesso spirito di condivisione che vive oggi nei geracesi, che con la loro storia e con il loro patrimonio artistico intrattengono un rapporto simbiotico. Essi offrono con orgoglio la loro semplicità a chiunque voglia conoscere le architetture medievali, le strade strettissime fatte di ciottoli, la natura che si insinua tra le crepe delle piccole abitazioni, le cui mura di cemento e pietra si intrecciano con papaveri, rose e gelsomini.
Giacomo Oliva, direttore del Museo Diocesano della cittadella vescovile, ricorda come Gerace e la Calabria abbiano avuto un ruolo importante nello sviluppo della cultura pre-umanistica, umanistica e rinascimentale. «L’Umanesimo e il Rinascimento partono dalla conoscenza del mondo classico, i cui insegnamenti sono arrivati nella Roma papale e in tutta Italia attraverso personaggi che dalla Grecia approdavano in Calabria, come il monaco Barlaam di Seminara, maestro di Petrarca e di Boccaccio. Sono pagine di storia poco conosciute. Un popolo che non conosce la propria storia non ha radici e questo fa sì che qualsiasi idea possa attecchire, come il pensiero malavitoso. Solo riscoprendo da dove si viene si può valorizzare sé stessi e il proprio patrimonio artistico».
Con l’arrivo dell’arazzo Bilotti, Gerace ha scoperto un nuovo tassello del suo passato, anche se Raffaello sembra essere sempre appartenuto a questi luoghi. Basta poco per immaginarlo passeggiare in una tiepida giornata di maggio sui ciottoli della piazza, con la voce di Totò che dal portone della Cattedrale lo chiama: «Aundi stati jìendu? Veniti cca cha vi cuntu na storia».