Gli orologi appesi al muro degli aeroporti, delle stazioni e di qualche grande multinazionale segnano, insieme a quelli degli altri grandi centri urbani, gli orari di New York e di Los Angeles. Due grandi metropoli, situate su coste opposte, affacciate su oceani diversi ma entrambe così scintillanti, rivestite di glitter e immerse nella mondanità. Su due coste opposte, affacciate su oceani diversi ci sono anche Boston e San Francisco. Meno appariscenti, comunque affascinanti e, visto l’esito delle finali di Conference della NBA, sportivamente più vincenti.
Le Finals NBA sono l’equivalente tennistico di Wimbledon. Il gelato alla vaniglia sulla Apple Pie prima che la stagione sportiva riparta, con il finale di stagione del baseball e l’inizio della NFL (National Football League). Adesso, però, l’attenzione di tutto il mondo è focalizzata sui Boston Celtics e i Golden State Warriors. Una serie piena di stelle del gioco, Steph Curry e Jayson Tatum su tutti, ma anche una vetrina per giocatori che per una carriera hanno fatto i manovali e ora si ritrovano invitati al ballo in smoking. Queste sono le loro storie.
MARCUS SMART (Boston Celtics)
È una serata come le altre per Marcus Smart e il suo migliore amico. Salgono gli scalini del The Pinks, un complesso di appartamenti poco fuori dal centro di Lancaster, in Texas. Hanno le tasche piene di pietre, con l’intento di usare i passanti come bersagli. Il primo lancio di Marcus colpisce un uomo in bicicletta. Non si ferma spaesato come gli altri, riesce a intravedere i ragazzi e gridando di volerli uccidere inizia a corrergli dietro. Marcus corre veloce, ma sente dietro di lui i passi dell’inseguitore e il suono della sicura che viene tolto da una Glock.
Le pietre hanno colpito un membro dei Bloods, una gang di Lancaster. Il ragazzino sa chi sono perché il fratello, Michael, spaccia cocaina insieme a loro. Più volte lo ha visto tornare a casa fatto, e ha giurato a sé stesso che non ne avrà mai niente a che fare. Quella notte, però, è costretto a scappare da loro e dalla vita che lo aspetta a Lancaster.
Dopo quell’episodio si concentra sul basket, sul controllo della rabbia (suo vero problema negli anni dell’adolescenza) e sulla famiglia. Quando i Boston Celtics lo scelgono al Draft NBA nel 2014 la famiglia è sistemata. La rabbia c’è ancora ma viene utilizzata per essere uno dei migliori difensori della lega (il miglior difensore di quest’anno n.d.r). Vincendo contro Golden State sarebbe solo il sesto Defensive Player of the Year a vincere poi il titolo NBA, insieme a icone del gioco come Michael Cooper, Dennis Rodman, Hakeem Olajuwon, Kevin Garnett e Draymond Green.
JONATHAN KUMINGA (Golden State Warriors)
Giocare a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, è quasi impossibile. Si gioca all’aperto, su un campo fatto di sabbia e sporcizia. Non solo il vento, ma anche il semplice palleggio rende difficile vedere il canestro perché si alza un polverone tremendo. Per Jonathan Kuminga, esterno degli Warriors, i momenti migliori della sua infanzia erano di conseguenza quelli passati all’internet cafè non lontano da casa sua. “Pregavo i miei genitori di pagarmi una mezz’ora di accesso a internet. In alcune giornate avevo a disposizione addirittura un’ora e quelle erano le migliori. Guardavo solo video di giocatori NBA, stando attento a non sprecare neanche un secondo del mio tempo nelle pubblicità” ha scritto Jonathan in una lettera indirizzata a tutti i bambini del Congo su the Players’ Tribune.
Quando non era all’internet cafè tornava a giocare insieme agli altri sognando un pallone che non fosse sporco, un paio di Nike non slabbrate e un parquet in legno come quelli che vedeva nei video: “Realizzare che tutto quello era migliaia di kilometri di distanza era difficile. Odiavo quella sensazione”. Qualche anno dopo lascia la sua patria per gli Stati Uniti, studia prima in West Virginia e poi alla The Patrick School nel New Jersey. Lungo e dinoccolato la NBA lo nota e decide di introdurlo nel Team Ignite, una squadra di promesse liceali che giocheranno nella lega di sviluppo della NBA (G-League).
Golden State lo sceglie al Draft del 2021. È diventato il protagonista dei video che guardava nell’internet cafè di Goma:” Se ce l’ho fatta io, potete farcela anche voi. Il cambiamento sta arrivando. Noi siamo il cambiamento e stiamo arrivando” aveva scritto nella lettera poco prima di essere scelto.
GRANT WILLIAMS (Boston Celtics)
Guardandolo di primo acchito Grant Williams è più simile a un agente della security che a un giocatore NBA. Un frigorifero di 198cm per 107kg. Scelto dai Celtics con la ventiduesima chiamata al Draft del 2019, in pochi avrebbero scommesso che tre anni dopo il numero 12 sarebbe stato così determinante per una squadra NBA. Invece, negli annali di questi Playoffs spicca anche il Grant Williams Game: 27 punti in gara -7 contro i campioni in carica, i Milwaukee Bucks di Giannis Antetokoumpo.
Prima che una pedina fondamentale per coach Ime Udoka, Grant Williams è un amante delle missioni spaziali e un filantropo che appoggia i ragazzi afroamericani nella loro strada verso un’istruzione, nella classica logica del “giving back” su cui poggia lo sport americano. Campione di scacchi al liceo pensò per un attimo di abbandonare la palla a spicchi per la scacchiera, ma visto che “la vita va esplorata e tutto ciò che ne fa parte va provato”, come ha detto a Sports Illustrated, ha anche un’inclinazione musicale che lo ha spinto a imparare sei strumenti, tra cui il violino e il clarinetto. Nella definizione sua madre: “Grant è talentuoso ma anche un lavoratore. È un Reinassance Man (Un uomo del Rinascimento n.d.r)”.