È il 1989, tra pochi mesi il muro di Berlino cadrà e il dittatore rumeno Nicolae Ceaușescu verrà processato e fucilato dopo le rivolte di Bucarest. Una ragazza di 27 anni cammina per ore al freddo, da sola, attraversando il confine tra Romania e Ungheria. Si è sporcata il viso di terra di proposito e addosso ha dei vecchi stracci, per passare inosservata. Non è più Nadia. Il suo nome non ha più il fascino che ha esercitato per anni, sulla bocca di tutti. C’è una parte della storia di Nadia Comăneci, la prima ginnasta a conquistare un “dieci perfetto” alle olimpiadi di Montreal del 1976, che non viene mai raccontata. La sua è una vita di successi e gloria sportiva, che la resero la ginnasta più giovane di sempre a conquistare un titolo olimpico, ma anche di abusi.
A sei anni Nadia fa le ruote nel cortile della scuola con un’amica. «Ero l’unica che non aveva mai paura, quando con gli altri bambini giocavamo ad arrampicarci sugli alberi volevo sempre salire sul ramo più in alto, anche se tutti erano preoccupati che sarei potuta cadere», ricorda. I due famosi allenatori Bela e Marta Karolyi le vedono durante un loro giro per le scuole a caccia di talenti e decidono far entrare Nadia nella loro accademia di ginnastica. Le ginnaste allenate da Bela e Marta seguono metodi di allenamento durissimi, quasi delle torture. Non possono mangiare, anche l’acqua è razionata per paura che possano prendere peso. Nelle pause tra le otto ore di allenamento al giorno le ragazze aspettano a tirare lo scarico del gabinetto, si arrampicano e bevono l’acqua prima che esca. La madre e il padre di Nadia, una casalinga e un meccanico, ripongono tutte le loro speranze nella bambina.
Quando gareggia alle Olimpiadi del 1976 la ragazza ha solo 14 anni. L’esercizio che le fa scrivere la storia è quello alle parallele asimmetriche. Consiste in una routine obbligatoria, che le atlete devono ripetere, sempre uguale, ad ogni gara. «Era un esercizio che avevo già provato un milione di volte, non so che cosa sia successo a Montreal quel giorno. Ricordo solo che a ogni gesto ho dato una maggiore ampiezza. È ciò che chiamo “il tocco di Nadia”», ricorda Comăneci in un’intervista contenuta in un documentario dedicato alla sua carriera. Poi succede quello che è rimasto nella storia. La numerazione digitale dei tabelloni non contempla la possibilità che la performance di una delle atlete possa ottenere il punteggio di 10, cioè la perfezione. Così, quando appare il risultato di Comăneci, tutti leggono 1.00. Il suo “perfect ten” aveva messo in crisi il sistema che era ripartito dall’inizio, registrando un 1 invece che un 10. Per la gracile ginnasta bambina con la frangia, che i cronisti paragonano a Trilli, la fatina di Peter Pan, quel 10 sarà il trionfo che le farà scrivere la storia dello sport olimpico, ma anche l’inizio della fine.
Il contesto è quello degli anni della guerra fredda. Nadia diventa una pedina nelle mani del dittatore rumeno Nicolae Ceaușescu che ne fa un simbolo del suo regime. La ginnasta fa risuonare l’inno rumeno e sventolare il tricolore nei palazzetti dello sport mondiale e per Ceaușescu è un trionfo. La Romania di quegli anni è un Paese poverissimo, nei supermercati non c’è cibo, mentre il dittatore vive nel lusso. L’obiettivo principale è la crescita demografica, il numero minimo di figli per donna è di cinque bambini.
Quando un cronista italiano della Rai la intervista, alla fine di una competizione, Comăneci dichiara in un italiano stentato:
«Tu pensi che il tuo impegno serva al tuo Paese?»
«Sì, certamente!»
«In che modo?»
«Gli porta prestigio!»
Lo ripete in maniera meccanica, le parole che escono dalla sua bocca di bambina sembrano imparate a memoria. «Non capivo cosa stesse succedendo e perché ciò che facevo destasse così tanto scalpore. Ero solo contenta di essere premiata dal presidente del mio Paese. A chi non farebbe piacere?». Gli atleti, in quegli anni, sono delle pedine nelle mani dei regimi che li usano come simboli per aumentare la forza e il soft power della propria nazione. A Nadia vengono regalate bambole, giocattoli e persino una villa. Ceaușescu la ricopre di riconoscimenti ufficiali e, quando entra in palestra, Bela inizia ad urlare «Ecco la nostra vacca sacra!». Nella villa, che è una sorta di enorme castello, Nadia vive da sola, lontana dalla famiglia e dagli affetti. Può uscire dalla dimora solo accompagnata e a bordo di una Bentley. Nicu, il figlio terzogenito di Ceaușescu, fa di Nadia la propria amante. Lei è costretta a subire le torture del figlio del dittatore, alcolizzato e violento, da cui riuscirà a staccarsi solo anni dopo, in seguito a svariarti tentativi di suicidio
In quegli anni Nadia continua a gareggiare poi per un periodo si ferma e mangia fino ad ingrassare a dismisura. La ginnasta vuole prendere peso in modo da non poter più gareggiare, per riprendere il controllo del proprio corpo e della propria vita. Poi riprende ad allenarsi. Passano anni in cui continua a vincere e perdere, ma non è più quella di prima. Alle olimpiadi di Mosca del 1980 si presenta con un nuovo aspetto. Ha i capelli più corti e anche il suo corpo è cambiato, è più morbido. Vince ancora due ori e un argento, ma cade dalle parallele, il suo attrezzo di punta insieme alla trave. Poco dopo Bela e Marta fuggiranno negli Stati Uniti, dove apriranno un ranch in Texas per allenare giovani promesse della ginnastica. In quello stesso ranch, dove si seguono gli stessi metodi di allenamento che i due usano in Romania, cresceranno promesse della ginnastica USA come Aly Raisman o la pluripremiata Simone Biles. È sul lettino del ranch di Bela e Marta che saranno perpetrate la maggior parte delle violenze sessuali ad opera del medico della nazionale di ginnastica degli Stati Uniti, Larry Nassar.
Quando anche Bela e Marta fuggono, Nadia, a cui è stato proibito di lasciare la Romania, decide di scappare. Nel 1984 dà l’addio alla ginnastica agonistica e parte, aiutata da un suo amico, il massaggiatore Constantin Panait. «Il giorno in cui ho dovuto passare il confine a piedi è stato forse l’unico in cui ho avuto paura nella mia intera vita». Comăneci chiede asilo politico all’ambasciata degli Stati Uniti e, ottenutolo, vola oltreoceano. Anche Constantin, però, si rivela uno sfruttatore. Fissa per conto di Nadia interviste con le maggiori reti statunitensi, intascando tutti i proventi delle sue attività nel Paese che l’ha accolta. Nel frattempo a Timisoara esplode la rivolta, Ceaușescu viene fucilato insieme alla moglie in seguito ad un processo lampo e Nicu viene rinchiuso in carcere, dove morirà a 45 anni.
La ginnasta incontra, dopo anni, il ginnasta statunitense Bart Conner. Lui l’aveva conosciuta la prima volta a Montreal quando, dopo il 10 alle parallele, le si era avvicinato e le aveva schioccato un bacio sulla guancia. I due si innamorano e decidono di tornare a Bucarest per sposarsi. Fuori dalla chiesa ci sono migliaia di persone ad attenderli, come ad un matrimonio reale. Quando Comăneci parla dei suoi successi, anche da adulta, c’è sempre un pizzico di incredulità e ingenuità nelle sue parole. «Non ho mai creduto che ciò che ho fatto sia stata una cosa così grande per la ginnastica e per lo sport in generale».
Ora gestisce con Bart Conner una palestra negli Stati Uniti, dove fa crescere in maniera sana e costruttiva molte bambine. Torna spesso in Romania, dove è molto impegnata anche nel sociale.
Nel documentario dedicato alla moglie Conner ricorda che «sono tutti affascinati da quello che Nadia ha rappresentato per lo sport mondiale, anche coloro che non seguono la ginnastica artistica. Una volta, durante un incontro istituzionale, eravamo vicino all’ex first lady Michelle Obama. Lei si avvicinò e disse: “Nadia lo sai che hai fatto una cosa enorme per me? Mi hai fatto capire, con il tuo impegno, che sarei stata capace di qualsiasi cosa, se solo avessi lavorato abbastanza duramente”».