Era il 1976 l’anno in cui la Federazione Italiana Nuoto riconosceva la fondazione della prima squadra di sincronizzato, come fino a poco tempo fa era chiamato il nuoto artistico, uno sport duro di resistenza, forza e precisione, tuttavia da subito associato alla grazia e alla convenzionale delicatezza del femminile, per i tratti in comune con la danza e la ginnastica. In quella prima squadra del 1976, però, c’era già un ragazzo, Riccardo Vincioni, e non ne sono mai mancati in questo sport, pur non essendo riconosciuti in modo formale dai regolamenti, declinati ancora oggi al femminile, per le atlete e non per gli atleti.
«Chi decide queste cose non vede che ci sono anche io?», è la domanda con cui Giorgio Minisini sintetizza il sentimento condiviso dagli atleti più giovani che negli anni si sono avvicinati a questa disciplina. «La categoria Under 15 da noi si è chiamata per anni Ragazze. E questo quando hai dodici anni ti pesa perché ti fa sentire invisibile, ti fa sentire escluso»
Adesso Minisini di anni ne ha ventisei, di cui venti trascorsi in vasca. Gareggia per la Nazionale e per il Gruppo Sportivo della Polizia di Stato e rappresenta l’eccellenza globale di uno sport in evoluzione e che proprio quest’estate, con gli Europei di Roma, si è avviato verso un cambiamento radicale e atteso, il debutto delle competizioni individuali maschili a livello internazionale.
Un’opportunità che lo rende entusiasta, anche dopo il grande e ravvicinato successo dei due ori in coppia con Lucrezia Ruggiero ai Campionati mondiali di Budapest di giugno: «Nuoto il singolo da quando ho iniziato con questo sport, cioè da quando avevo sei anni. Ho dovuto aspettarne più di dieci per partecipare ai mondiali – poiché solo nel 2015 la Federazione internazionale (Fina) ha introdotto il duo misto maschile e femminile, ndr – ed erano sette anni che aspettavo di potermi esprimere in altre competizioni. Sono contento che finalmente ci sia questa possibilità»
Il supporto delle federazioni nazionali e della Fina è stato fondamentale e necessario per l’inclusione degli uomini nel nuoto artistico alle Olimpiadi, l’unica e più importante manifestazione sportiva acquatica in cui ancora non erano ammessi, ma soprattutto attrae la Generazione Z, sempre più attenta alle questioni di genere.
«Il nostro sport ha perso una grande occasione vent’anni fa, quando Bill May (campione statunitense attivo dal 1989 al 2017, ndr) si faceva già vedere nei palchi internazionali. Era quello il momento di aprirsi, anche con un decennio di anticipo rispetto ad altri sport. La consapevolezza maggiore nelle nuove generazioni ha aiutato tantissimo a fare pressioni sulle federazioni internazionali ma si tratta anche dell’evoluzione naturale del nuoto artistico. L’apice del livello si ottiene quando uomo e donna nuotano insieme e questo lo dimostra il responso del pubblico e della stampa, per cui le gare miste sono sempre quelle in cui c’è più entusiasmo e più interesse»
Non danzare, ma appunto nuotare insieme è un piccolo ma fondamentale spostamento di fuoco che ha contribuito a cambiare il sentire comune rispetto a questo sport negli ultimi anni. Lo stesso per cui è più corretto usare l’aggettivo artistico anziché sincronizzato. Le parole, secondo la sociolinguistica, hanno potere. Una semplice desinenza può cambiare il modo in cui si guarda la realtà e a questo proposito Giorgio Minisini è stato protagonista e promotore di una cosiddetta call to action su Instagram. A pochi giorni dal trionfo di Budapest ha chiesto cioè aiuto ai follower su Instagram per sostituire il termine sincronetto che appariva su Wikipedia con quello più appropriato di nuotatore. L’appellativo, ritenuto sminuente e quasi ironico nell’uso che se n’è fatto negli anni, soprattutto per gli uomini, non rispecchia infatti, né al maschile né al femminile, lo sforzo atletico di questo sport.
«Ci sono dettagli con cui io ho imparato a vivere, perché ho sempre saputo che non aveva importanza come veniva chiamato ciò che facevo ma era importante che ci fosse modo poi per le persone di vederlo e capirlo. Questi dettagli a un’età diversa pesano e comprendendo anche quello che sentono oggi i ragazzi più giovani sento la responsabilità di doverli aiutare, visto che adesso sono un po’ più ascoltato»
Il suo appello in poche ore è riuscito nell’intento, confermando anche come oggi Minisini stia diventando un punto di riferimento per atleti e appassionati di tutte le età ma anche una voce che porta lo sport dentro il dibattito sulla rappresentazione e l’inclusione.
Spesso viene definito un pioniere del nuoto artistico, anche se non è così che si vede: «Io ho sempre seguito le orme di Bill May e quindi riconosco che c’è stato qualcun altro prima e insieme a me, anche perché per tanti anni c’è stato mio fratello con me. Io da solo non ho fatto niente, ho sempre avuto qualcuno intorno. Sono contento però di vedere il successo trasversale che sta avendo questo sport ed è bello sapere che adesso tanti ragazzi hanno sia compagni di squadra che rivali con cui fare dei riferimenti, cosa che a me è mancata fino al 2015»
Quando però l’unico confronto possibile è con se stessi per troppo tempo, soprattutto in uno sport come questo che costringe a un giudizio esterno della performance, «che può debilitare il lavoro di otto o nove mesi», è fondamentale anche prendersi cura della propria salute mentale, un aspetto essenziale della preparazione atletica su cui ancora si parla poco e con riluttanza. Sembra infatti trascorso un tempo indecifrabile da quando i primi attacchi di panico di Federica Pellegrini durante le Olimpiadi di Londra 2012 spaventarono in diretta il pubblico, cogliendolo alla sprovvista, a quando Marcel Jacobs, la scorsa estate, diede al percorso terapeutico gran parte del merito delle sue storiche vittorie a Tokyo.
Minisini, ancora una volta, si pronuncia su un tema caro alla Generazione Z, parlando con sincerità del percorso affrontato da oltre tre anni con Stefano Tamorri, psicologo dello sport al Coni: «Il lavoro con lui mi ha aiutato sia a gestire il peso che sentivo dopo la vittoria di Budapest nel 2017 sia l’aspettativa che non rispettavo verso me stesso giorno dopo giorno. Mi ha aiutato a cambiare il focus con cui approcciavo determinati eventi, come una sconfitta in una gara. È un cambio di prospettiva necessario. Non devi guardare alla paura della sconfitta ma provare a vedere cosa ti porta a fare la voglia di raggiungere i tuoi obiettivi, che tu ci riesca o meno»
Così, se potesse incontrare adesso il piccolo Giorgio di sei anni, intento a imparare le prime routine in vasca, Minisini gli direbbe che aveva ragione: «Aveva ragione a coltivare quella sua voglia di gareggiare»
Con al collo tre ori, tre argenti e due bronzi mondiali e i primi due ori europei singoli maschili della storia di questo sport, il campione delle Fiamme Oro è «a un punto di partenza, non ancora di arrivo» ed è pronto a stupire ancora. Adesso è infatti ufficiale l’annuncio del debutto del nuoto artistico maschile alle prossime Olimpiadi e Giorgio Minisini punta a Parigi 2024 e ai cinque cerchi.
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