Per la generazione degli anni Ottanta, Metropolis ha significato soprattutto un nome: Giorgio Moroder, il musicista del futuro, il dio dell’elettronica. Affascinato dalla prima androide donna portata sugli schermi, Moroder si mise a tagliuzzare il girato di Fritz Lang ricomponendone la musica tra sintetizzatori e canzoni pop: Freddie Mercury, Bonnie Tyler, Jon Anderson, una miscela di interpreti all’apice del successo scelti per accompagnare le visionarie immagini della città sotterranea di Metropolis e la storia d’amore tra il futuro “Messia” Freder e la dolce Maria rapita della sua identità.
Operazione affascinante, quella di Moroder – peraltro seguita qualche anno dopo da Philip Glass e dal dj Jeff Mills nel 2000 – destinata a diventare un cult delle tendenze cyberfuturistiche della cultura pop di quegli anni: resa, inoltre, possibile dal fatto che la riscoperta di Metropolis era appena cominciata. Perduto infatti l’originale durante la Seconda Guerra Mondiale a seguito della distruzione dei magazzini della UFA, il film venne pian piano restaurato grazie alle copie – già mutilate di gran parte della durata – ritrovate in giro per il mondo: ed è qui che entra in gioco il lavoro di Gottfried Huppertz, amico del regista e compositore della colonna sonora originale.
All’epoca delle riprese, il musicista non si limitava a comporre al di fuori del set, ma lavorava insieme agli attori e a Lang appuntando sulla partitura i dettagli del film. La partitura incompleta di quell’immane lavoro – più di 150 minuti di girato – fu ritrovata negli anni Sessanta nella biblioteca della vedova del compositore: un aiuto essenziale per i restauratori, che hanno potuto così lavorare alla ricostruzione del film una nota e un’immagine per volta. Perché di Metropolis, la musica originale – e qui dispiace per Moroder – è elemento drammaturgico fondamentale, non commento: è un testo che aggiunge e si trasforma insieme agli elementi e ai protagonisti della storia. Come, ad esempio, le due Marie: la vera, angelica, protagonista e l’Altra, l’androide che seduce gli uomini e aizza alla rivolta i lavoratori.
The virgin and the vamp
La santa e la demoniaca, la madre e la meretrice. Metropolis è un film di opposti – bene/male, macchina/uomo, singolo/masse – quanto Maria è proiezione di uno sguardo maschile che la condanna, sia essa l’una o l’altra. Nella musica – come nella storia – queste due Marie non si incontrano mai: non possono farlo, perché la loro scissione non è psichica, ma esteriore – è la grande rivoluzione della sceneggiatura di Thea Von Harbou rispetto al Doppio di tradizione ottocentesca. Il romanticismo del tema della vera Maria – simmetrico, compiuto, cantabile – non evolve mai in qualcos’altro, neanche quando lei fugge disperata dallo scienziato Rotwang. Al contrario, la falsa Maria è un “mutaforma” musicale: essendo la sua identità ambigua per natura, l’androide è accompagnata da gesti musicali diversi: asimmetrici, brevi e disposti alla trasformazione continua.
Così la sua musica, nel corso del film, diventa sempre più complessa: la sua danza della seduzione – la seconda scena più celebre dopo la trasformazione dell’attrice Brigitte Helm in robot – si arricchisce dei ritmi del nuovo fox-trot importato dall’America, e allo stesso tempo ruba al Dies Irae gregoriano perché quel ballo – che rompe con la tradizione classica, dai gesti spezzati e dalla nudità esibita – è simbolo nientemeno che della fine di Metropolis.
E per i più nerd della composizione musicale, il compositore gioca su un ulteriore elemento: uno dei temi della falsa Maria – il cromatismo alla Carmen di Bizet, tradizionalmente associato alla seduzione – si configura come rovesciamento speculare della melodia compiuta del suo doppio angelico: è forse l’unico elemento in cui le due proiezioni dell’io della protagonista si incontrano. Per il resto, the virgin and the vamp – per usare il titolo di un celebre studio sul film di Andreas Husseyn – non conoscono via d’uscita. Condannate alla circolarità, la madre e l’androide conosceranno una breve metamorfosi musicale – con la paura da una parte, con la danza dell’Apocalisse dall’altra – per tornare – al contrario dei loro co-protagonisti maschili – alla loro dimensione originaria. Maria portatrice di pace, promessa al giovane Frieder, Maria seduttrice e ribelle, bruciata dal fuoco e tornata ad essere macchina.
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