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Esclusiva

Febbraio 7 2023
«Cerco ancora i miei parenti»

In Anatolia, al confine fra Turchia e Siria, un’intensa attività sismica provoca oltre tremila morti e disintegra più di 2800 edifici

«Siamo tutti in stato di shock, sto ancora cercando alcuni dei miei parenti. Vorrei dire di più ma al momento non riesco», è lapidaria Lara attraverso i suoi messaggi di testo. Si trova a Istanbul, a circa un migliaio di chilometri da Gaziantep, epicentro del terremoto che nella notte fra il 5 e il 6 febbraio ha colpito l’Anatolia. La paura è arrivata fin lì. Non aggiunge altro, lasciando alle fotografie e ai video, circolanti dalle aree colpite, il compito di mostrare l’entità della tragedia in corso al confine fra Turchia e Siria. Sono le 4 del mattino (le 2, ora italiana) quando un sisma di magnitudo 7.9 distrugge gran parte della città sudorientale che conta circa 2 milioni di abitanti. Il bilancio della prima scossa è di circa 800 vittime, ma in poche ore cresce oltre le 3600 e non è ancora definitivo. Per l’intera giornata il suolo trema con decine di scosse di assestamento, alcune ancora oltre i 6 gradi Richter. Sono più di duemila gli edifici distrutti, polverizzati in pochi secondi: scuole, ospedali, palazzi istituzionali. Secondo una prima stima dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il suolo dell’Anatolia si è spostato di circa tre metri dopo le scosse. La regione, come dichiara a Zeta la sismologa turca dell’Ingv Aybige Akinci è situata sopra «una delle faglie più attive del Medio Oriente», denominata appunto faglia anatolica orientale, che è «trascorrente verso la zona orientale del Paese», incontra cioè la faglia anatolica settentrionale estendendosi per centinaia di chilometri. L’attività delle due faglie dipende dai movimenti della placca anatolica, di quella euroasiatica e di quella araba, da qui spiegata anche l’intensa frequenza di terremoti. Le diverse scosse succedutesi nella giornata del 6 febbraio, come spiegato dalla dottoressa Akinci «sono fenomeni collegati che avvengono su segmenti diversi della faglia ma mai nello stesso punto». È da escludere al momento una ripercussione del sisma nelle aree vicine, Italia compresa, considerando anche che l’allarme tsunami diramato ieri è rientrato dopo poche ore, «più che di relazione tra le faglie è bene parlare di stress intorno alle faglie, terremoti di vicinanza». Non è tuttavia possibile prevedere con certezza l’andamento dei terremoti, precisa la sismologa, affermazione da sottolineare anche alla luce dei contenuti di disinformazione circolati in rete nelle ore successive al disastro naturale. Su Twitter, è infatti diventato virale non solo l’account @Frankhogreb, un profilo falso – e già bloccato dalle segnalazioni online – che annunciava orario e magnitudo dei prossimi terremoti, ma anche il vero detentore del profilo originale Frank Hoogerbeets (@hogrbe) che afferma di essere un ricercatore in grado di prevedere gli eventi sismici in base all’influenza dei corpi celesti.

Epicentri delle scosse di terremoto in Turchia

Non c’è stato invece nemmeno il tempo di uscire di casa, quando «basterebbe soltanto costruire bene, in modo adeguato sulle faglie attive», continua la dottoressa Akinci riferendosi all’urbanistica della città. Da questo punto di vista «Istanbul, città ad alto rischio sismico, ha un sistema di allarme in via di sviluppo in grado di interrompere la fornitura di gas ed elettricità alla città, per evitare incendi in caso di terremoti». L’implementazione nella metropoli stessa e nel resto del Paese è ancora lontana, come confermano Giorgio e Jonathan, due studenti italiani che vivono a Istanbul, raggiunti telefonicamente da Zeta mentre si trovano in Macedonia, di rientro in Italia: «Con il tempo sono state costruite case e quartieri per fare fronte ai terremoti», zone di avanguardia tecnica, a cui però si contrappongono ancora interi quartieri, anche nel centro di Istanbul, in cui le persone vivono nelle case piene di crepe dopo uno dei terremoti degli anni Novanta».

È chiaro, tuttavia, che l’evento sismico delle scorse ore non ha nulla a che vedere con i precedenti. Bisogna tornare indietro di circa un secolo, al 1939, per ritrovare un primo termine di paragone.

A complicare una già difficile situazione, oggi, si aggiunge che i danni e le vittime della Siria, oltre che della Turchia, colpiscono un Paese già in crisi umanitaria. Come riporta l’Ong Still I Rise, attraverso le parole della Direttrice Advocacy Giulia Cicoli, «questo terremoto si somma alla devastazione in cui riversa il Nord Ovest della Siria, rendendo tutto ancora più tragico. A causa dell’assenza di infrastrutture e del bombardamento degli ospedali avvenuto nel corso degli anni, il supporto socio-sanitario è quasi inesistente». Soltanto nel Nord Ovest del Paese vivono 4,6 milioni di persone di cui 2,9 sono gli sfollati interni: «La situazione dei siriani non fa più notizia, ma qui semplicemente sopravvivere è una sfida giornaliera».

Sul campo, sia in Siria che in Turchia sono già presenti alcune delle più importanti organizzazioni internazionali come Save the Children. Il portavoce italiano Michele Prosperi dichiara a Zeta che «la situazione era già difficile e gravissima soprattutto in Siria, dove le famiglie sono precipitate in un baratro dopo che l’economia è crollata». Il terremoto è «un’ulteriore tragedia che complica ancora di più le cose». Save the Children sta cercando di «fare ogni sforzo possibile per raggiungere le persone più in difficoltà e più a rischio. Dobbiamo immaginare che i bambini sono proprio le persone più vulnerabili in questo momento. Come soccorritori stiamo combattendo contro il gelo per raggiungere i bambini che si teme siano rimasti sotto le macerie. Stiamo distribuendo kit di emergenza per l’inverno, coperte e abbigliamento pesante». La tempestività è fondamentale in casi come questo, conclude Prosperi, per questo è «importante che tutta la comunità internazionale intervenga», il prima possibile.