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Esclusiva

Febbraio 9 2023
Price cap sul petrolio russo, l’analista: «Mosca ha ancora margini di guadagno»

Quanto è efficace il price cap europeo al petrolio russo? Gli esperti di energia concordano sulla sua applicazione, ma c’è chi ritiene ci siano margini di miglioramento

Le ultime sanzioni europee contro la Russia, entrate in vigore lo scorso 5 febbraio, fissano un tetto al prezzo del petrolio proveniente dalla Russia a 45 dollari (42€) al barile. La decisione del Consiglio (l’organo che riunisce gli Stati europei) aggiorna il precedente massimale fissato a 60 dollari (56€) e ne aggiunge un altro per i prodotti petroliferi russi a 100 dollari (93€).

La decisione va nella direzione auspicata dal governo ucraino che ha chiesto che il tetto al prezzo fosse impostato a 30-40 dollari (28-37€), ma secondo Lauri Myllyvirta del Centre for Research on Energy and Clean Air non è abbastanza: «Produrre un barile di greggio in Russia costa circa 15 dollari e i prodotti petroliferi meno di 20 dollari. I massimali di prezzo fissati dall’Unione sono quattro volte superiori ai costi di produzione della Russia che quindi ha ancora un sostanziale margine di guadagno», dice. 

Non solo, secondo Myllyvirta bisognerebbe «Introdurre restrizioni o tetti di prezzo sulle importazioni dai Paesi che importano greggio russo. Attualmente non esistono e l’UE importa questi prodotti da paesi come India, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. Questa scappatoia dovrebbe essere chiusa». Nonostante l’analista giudichi le decisioni del Consiglio nel complesso efficaci, dunque, restano sostanziali margini di miglioramento. 

La soglia dei 60 dollari era stata introdotta in ragione dei timori che un livello inferiore avrebbe potuto causare tagli alla produzione di greggio russo. Così non è stato e l’asticella del prezzo è stata abbassata. Tra due mesi potrebbe accadere di nuovo, quando il Consiglio riesaminerà la decisione.

Il Cremlino ha riferito nuovamente che sospenderà le esportazioni di greggio verso i Paesi che applicheranno il price cap. La minaccia è stata disattesa già una volta e la difficoltà in cui versano le casse statali della Federazione lasciano pensare che verrà disattesa ancora. 

Matteo Villa, analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) sostiene che «le entrate russe da petrolio, gas e carbone scenderanno da 330 miliardi di dollari nel 2022 a 180-210 miliardi nel 2023, causando un buco equivalente al 6% del PIL». Secondo l’Istituto per quanto riguarda il gas l’Asia non potrà in alcun modo compensare le perdite russe dal versante europeo e per recuperare i volumi persi alla Russia occorreranno almeno quindici anni. 

Diverso il discorso per il petrolio russo, «senza il quale – dice l’analista – il mondo rischierebbe di cadere nella peggior crisi petrolifera dal 1973» e secondo cui la strategia europea che mira a far calare il prezzo del greggio made in Russia è la più sensata. 

Intanto l’agenzia TASS ha riferito i dati preliminari del bilancio dell’export di petrolio e gas che a gennaio 2023 risultano diminuiti del 46% rispetto al gennaio 2022. Un buco di 5,96 miliardi di dollari generato dalla combinazione delle minori entrate dovute alle sanzioni e dell’impennata dei costi dello Stato per far fronte alla guerra. Il Paese conta al momento un deficit di 1,76 trilioni di rubli (25 miliardi di dollari), che secondo Bloomberg rappresenta il più grande deficit di bilancio del Paese dal 1998.

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