«Il Governo sta usando strategie indirette per indebolire le proteste» afferma Sally [nome fittizio], insegnante britannica in una scuola elementare dello Yorkshire e coordinatrice del gruppo SEN (Special Education Needs), un programma incentrato sui bambini affetti da disabilità. La sua è una delle tante voci che ha accettato di raccontare gli scioperi a cui, dal 1° febbraio scorso, stanno partecipando molti insegnanti in tutto il Regno Unito, per chiedere al Governo di Rishi Sunak un aggiustamento salariale e una diminuzione dell’orario lavorativo.
Le ragioni degli scioperi nel Regno Unito
Se in apparenza gli scioperi evidenziano l’esigenza dei docenti, dalle scuole elementari alle università, di vedere i propri stipendi aumentare, in realtà intendono porre l’attenzione sullo stato del sistema educativo nazionale, penalizzato dall’estrema mancanza di budget. A queste preoccupazioni, si aggiunge un carico di lavoro sempre più insostenibile, risultato delle pressioni esercitate dal Governo per innalzare l’asticella e recuperare il tempo perso a causa della pandemia.
«Solo nella mia scuola, quest’anno abbiamo avuto un’insegnante molto esperta che è andata in pensione anticipata a Natale perché ne aveva abbastanza delle pressioni. Invece, un nuovo insegnante è tornato al suo vecchio lavoro di venditore di auto perché non riusciva più a far fronte alle esigenze estreme del lavoro. Un altro insegnante ha accettato un lavoro come assistente didattico poiché si stava ammalando, era stressato e depresso a causa delle eccessive responsabilità» racconta Sally.
Tra i sindacati che hanno preso parte agli scioperi, il NEU (National Education Union) e il NASUWT – The Teachers’ Union. Ma se le proteste si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese, Scozia e Galles stanno invece negoziando separatamente rispetto all’Inghilterra.
Pur essendo iscritta al sindacato NAHT (National Association of Head Teachers), per il momento Sally ha deciso di non scioperare perché «il Paese non ha abbastanza soldi e quindi chiedere paghe più alte sembra inappropriato. Personalmente, preferirei vedere più soldi investiti nel settore pubblico in tutte le aree, senza aumenti salariali degli insegnanti, in quanto sembrerebbe essere la soluzione migliore per il nostro attuale sistema difettoso».
La situazione attuale dei servizi essenziali
Le scuole hanno subìto tagli alle risorse economiche a loro disposizione, e il numero attuale di insegnanti e personale di supporto è insufficiente per gestire le crescenti esigenze e gli effetti a catena delle ricadute su altri servizi pubblici, anch’essi completamente sopraffatti. Negli ultimi dieci anni, le politiche di austerity implementate dal Partito conservatore di George Osborne hanno ridotto in termini reali la spesa del settore pubblico, con il Covid-19 e la Brexit che hanno avuto un impatto ancora più deleterio sulla spesa pubblica e sui tagli.
Secondo i dati pubblicati dal sindacato NEU, il 44% degli insegnanti nelle scuole pubbliche sta pensando di lasciare il loro lavoro entro il 2027. La metà (22%), invece, intende farlo entro due anni. Tra le motivazioni più frequenti, lo stress e la difficoltà di gestione della mole di lavoro. Condizioni che sono peggiorate soprattutto durante la pandemia.
I tagli all’istruzione non sono un fenomeno di recente attuazione nel Regno Unito, ma «il rispetto per gli insegnanti è stato eroso per decenni, da quando Margaret Thatcher ha costruito un modello di “consumo” dei servizi pubblici, passando dall’essere “cittadini” ad essere “consumatori”. Il pubblico generalmente pensa di conoscere il nostro lavoro e non ha idea di cosa effettivamente comporti, ma ha poca empatia» commenta amareggiata Sally.
Oltre ad abbattersi sulle scuole, i tagli del governo e la mancanza di spesa pubblica si ripercuotono anche su servizi vitali come l’assistenza sociale e la sanità, per cui molti di questi bisogni ricadono sulle scuole, che cercano di sostenere i bambini e le loro famiglie nel miglior modo possibile. «Le valutazioni dei bisogni speciali, la consulenza linguistica e logopedica, i servizi di consulenza hanno tutti liste di attesa di almeno un anno, forse due, quindi nel frattempo le scuole devono colmare queste lacune» spiega l’insegnante dello Yorkshire.
La risposta del Governo britannico
Eppure, aggiunge Sally, «la risposta del Governo sembra essere quella di dire quanto siano crudeli gli insegnanti nel privare i bambini della loro istruzione, oppure di come stiano disturbando i genitori/tutori che hanno bisogno di lavorare – giocando sul concetto di “lavoratori chiave”, che devono essere in grado di svolgere il proprio lavoro e che, per questo, hanno bisogno assistenza all’infanzia».
Una delle strategie indirette messe in atto dal Governo per scoraggiare le proteste riguarda proprio i “lavoratori chiave”, per cui Sally afferma che «il Governo ha impartito istruzioni ai Presidi affinché i bambini svantaggiati e i lavoratori chiave a scuola abbiano la priorità, minacciando così gli insegnanti che stanno scioperando, poiché quei bambini nella loro classe avrebbero bisogno di essere seguiti da un altro insegnante».
Un’altra misura adottata dal Governo è quella per cui «tutti i bambini che ricevono pasti scolastici gratuiti devono essere nutriti [quando sono a scuola], ma questo non può essere fatto con pranzi al sacco consegnati fuori sede, poiché la Natasha’s Law prevede che tutti i pranzi al sacco debbano essere personalizzati in base alle esigenze dietetiche dei bambini, quindi il personale di cucina avrebbe bisogno di almeno un mese di preavviso per fornirli» aggiunge Sally.
In entrambi i casi, il risultato è sempre lo stesso: scuole sovraffollate e scarsità del personale scolastico che possa gestire i bambini. Eppure, secondo il NEU, nonostante siano stati proclamati sette giorni di scioperi tra i mesi di febbraio e marzo, le scuole di tutto il Paese ne saranno influenzate soltanto per quattro giorni. Oltre agli appuntamenti del 1° e del 14 febbraio, gli insegnanti scenderanno in piazza anche i prossimi 15 e 16 marzo in tutto il Regno Unito.
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