«Non sono un viticoltore ma avevo un terreno piuttosto ampio vicino casa in cui coltivavo molte viti con le quali autoproducevo il vino. Riuscivo a fare sia il vino bianco che quello rosso: produrre il vino in casa è una tradizione della mia zona. Il mio preferito era quello rosso». Si commuove Anatolii Bobrovsykyi quando ripensa ai suoi vigneti, ai filari di viti e ai grappoli d’uva che, settimana dopo settimana, cambiavano colore fino al momento in cui venivano raccolti per dare vita a quel vino di cui «tutti quelli che lo assaggiavano dicevano che era squisito». Ha 73 anni e viveva a Kherson, nella parte meridionale dell’Ucraina. La città, lo scorso novembre è stata riconquistata dalle forze di Kiev ma continua ad essere tra le zone più martoriate dagli attacchi russi. Ci sono macerie ovunque: i soldati di Putin sparano ad ogni ora del giorno e della notte seminando morte e distruzione. Lo scorso agosto, dopo mesi di ansia e paura, Anatolii è riuscito a lasciare la sua città e a trovare rifugio in Italia, a Teolo in provincia di Padova, nel Parco Regionale dei Colli Euganei. «Sono arrivato con parte della mia famiglia: il marito di mia figlia e la madre del marito della mia seconda figlia. Ho portato con me anche il mio cagnolino», racconta Anatolii. Il viaggio è stato lungo e difficile: «la mia città è in una zona a maggioranza russofona. Quando è scoppiata la guerra è stata occupata dalle truppe russe e dichiarata territorio russo: di conseguenza non potevo uscire da quella zona con un documento ucraino. Quindi, muovendomi in automobile, sono entrato in Russia per poi uscirne passando per la Lettonia e la Lituania, fino a raggiungere la Polonia. Da qui abbiamo continuato il viaggio in autobus fino all’Italia». Un percorso durato ben sette giorni e sette notti che ha messo a dura prova Anatolii: si muove con difficoltà, aiutandosi con una stampella.
Al suo arrivo a Teolo è stato accolto presso la Villa Mater Gratiae che l’associazione Abam Onlus ha restaurato e messo a disposizione trasformandola in un centro di accoglienza dove oggi, grazie anche al lavoro e al supporto della Orizzonti Cooperativa sociale e di tanti volontari, trentotto persone fuggite dalla guerra, in particolare donne e bambini, hanno trovato un luogo sicuro in cui vivere e ritrovare serenità. Al restauro della villa ha contribuito anche Graspo (Gruppo di ricerca ampelografica sostenibile per la preservazione della biodiversità viticola), un’associazione che si pone l’obiettivo di identificare, catalogare e vinificare i vitigni antichi e autoctoni del territorio nazionale e internazionale, allo scopo di tutelarli e valorizzarli. Come spiega Aldo Lorenzoni, promotore di Graspo: «noi siamo un gruppo di amici e da qualche anno cerchiamo di mettere in salvo, dal punto di vista del Dna, tutta una serie di vitigni storici, dalle Alpi alla Sicilia. Inoltre, portiamo avanti anche altre attività e progetti di solidarietà. Abbiamo contribuito al restauro della villa dove ha trovato ospitalità Anatolii e abbiamo saputo della sua passione per la viticoltura e del suo desiderio di prendersi cura di alcune piante». Così, lo scorso novembre, con un gesto simbolico, l’associazione Graspo ha deciso di donare ad Anatolii le barbatelle di quattro antichi vitigni “perduti” del padovano: la Corbina, la Turchetta, la Cavrara e la Pedevenda. «Quando ha visto le piante, Anatolii è ringiovanito: ha quasi lanciato la stampella e ha preso in mano la zappa per smuovere la terra in cui piantare le barbatelle. Ho ancora davanti agli occhi questa immagine», ricorda Aldo Lorenzoni.
Per Anatolii prendersi cura delle barbatelle è quasi un ritorno al suo passato di viticoltore in Ucraina: non c’è giorno in cui non va a vederle e c’è sempre qualcuno pronto a dargli una mano per curarle al meglio. «Purtroppo, per la mia condizione fisica, faccio fatica ad occuparmi come vorrei delle piante ma ho delle persone, anche connazionali, che se ne occupano e che mi aiutano». Spesso, come racconta Francesca Temporin della Orizzonti Cooperativa Sociale e coordinatrice della struttura di accoglienza «coinvolge anche i ragazzi presenti in struttura nella cura delle piante e spiega loro come prendersene cura così come farebbe un nonno con i propri nipoti».
Anatolii trascorre le sue giornate facendo piccole passeggiate sui colli di Teolo, camminate in cui a volte lo accompagna Ganna, la sua consuocera con cui ha condiviso il viaggio dall’Ucraina all’Italia. «Mi piace stare all’aria aperta e chiacchierare con gli altri ospiti accolti in struttura. D’estate mi piaceva rimanere seduto fuori sulla panchina e chiacchierare con le persone che passavano, ma adesso con il freddo sono costretto a stare dentro». La sua speranza così come quella di tutti coloro che, come lui, sono dovuti scappare all’improvviso dalla propria terra abbandonando la propria casa e i propri affetti più cari è che la guerra finisca presto. Del suo Paese gli manca tutto: gli amici, la casa, la sua routine quotidiana. «Ho costruito la mia casa con le mie mani e l’ho costruita anche per mia figlia. Avevo pensato al mio futuro e a quello della mia famiglia in Ucraina e speravo di invecchiare nella mia casa con la mia famiglia vicino».
A causa di una guerra che non accenna a finire, il momento del ritorno nella sua terra si fa ogni giorno sempre più lontano. Il suo obiettivo è ora quello di ricongiungersi presto con le due figlie arrivate prima di lui in Italia, per poter finalmente ritornare a vivere insieme. Ma Anatolii non è il solo a vedere affievolirsi la speranza del ritorno nella propria patria. Come spiega Francesca Temporin della Orizzonti Cooperativa Sociale: «inizialmente le difficoltà di inserimento e integrazione erano più complesse perché c’era comunque la speranza di ritornare. Ora sembra che tutti si stiano rendendo conto che la fine della guerra non è dietro le porte e pertanto stanno iniziando anche a ragionare in altri termini, dicendo “io ci provo ad inserirmi qua e ad integrarmi e se eventualmente riesco a tornare al mio Paese ci torno volentieri ma, se non è possibile in tempi brevi, almeno inizio a costruirmi una parte di futuro qua”. È un processo molto delicato e complesso».