Chi sognava una collaborazione storica fra due dei gruppi musicali più importanti di sempre, rimarrà soddisfatto a metà. È confermato da fonti statunitensi (Variety, Entertainment Weekly) che Paul McCartney abbia già registrato in studio la linea di basso di un nuovo singolo degli Stones, parte di un progetto ancora senza titolo che sarà il primo lavoro inedito da A Bigger Bang del 2005 e dalla morte dello storico batterista Charlie Watts, avvenuta nel 2021.
È dal 1993 – trent’anni – che i Rolling Stones non hanno un unico bassista fisso in formazione, da quando Bill Wyman, nella band dal 1962, abbandonò il gruppo per motivi personali. L’atto di ospitare il bassista più celebre della musica contemporanea, McCartney, nel nuovo album che segna un ritorno importante degli Stones è un gesto anche simbolico, che sembra voler mettere fine alla rivalità costruita fra le due band dagli anni Sessanta a oggi. Non è però un gesto isolato, se si possono contare come precedenti tutte le occasioni in cui Mick Jagger, secondo fonti della testata Rolling Stone, ha assistito alle registrazioni dei Quattro di Liverpool, da All You Need is Love all’album Revolver, fino alla sessione in studio della celebre parte orchestrata di A Day in the Life.
È questo un quadro, tuttavia, che vede spesso protagonisti due soli attori, McCartney e Jagger, e in cui manca un elemento fondamentale per parlare di evento storico e irripetibile: Ringo Starr. Il batterista, secondo e unico altro membro vivente dei Beatles, sullo sfondo rispetto agli altri compagni, non si è ancora ritirato dalle scene e prosegue la sua carriera come solista, ma né Variety né altre testate americane confermano la sua presenza nel nuovo album degli Stones. Sia perché restio di per sé, sia perché “sostituire” il compianto Watts, anche solo per un brano, sarebbe troppo anche per una reunion storica.
Charlie Watts, batterista jazz prestato ai grandi palchi, era il collante invisibile della musica degli Stones, sempre più vicina al blues che al pop-rock. Proprio il genere musicale è stato uno dei motivi su cui le due band, o meglio McCartney e Jagger, hanno discusso in pubblico, usando i media e le interviste come armi. L’ultima volta risale soltanto al 2021, quando durante la promozione del colossale documentario Get Back di Peter Jackson (otto ore dedicate alla storia della band di Liverpool), McCartney ha fatto riferimento agli Stones come una «cover band blues» attaccando in modo indiretto anche l’originalità del lavoro autoriale di Mick Jagger e Keith Richards.
Un’accusa che si specchia in quella più celebre dei primi anni Settanta, quando John Lennon additò Their Satanic Majesties Request come un’imitazione fin troppo esplicita di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Entrambi gli album escono infatti nello stesso anno, il 1967, con la stessa influenza musicale del pop-rock psichedelico, scegliendo anche lo stesso fotografo per la copertina, Michael Cooper. Più che un ingenuo tentativo di copia, tuttavia, quella degli Stones è una sfida: nella copertina originale, un ologramma in cui i cinque Stones (c’è ancora Brian Jones) sono immersi in un coloratissimo paesaggio di fantasia, nascosti fra gli oggetti intorno a loro si notano i volti di John, Paul, George e Ringo.
Un’onesta sfida che è proseguita nel tempo, tanto da spingere Mick Jagger – in un’intervista di Howard Stern – a rispondere alle affermazioni di McCartney con una frase lapidaria, che rimarrà impressa soprattutto adesso che i due progettano un ritorno comune sulla scena musicale: «I Rolling Stones sono una band fatta per i grandi concerti. Quando c’erano i Beatles non esistevano nemmeno i tour come li intendiamo oggi. La grande differenza è che un gruppo è incredibilmente fortunato perché suona ancora negli stadi, mentre l’altro non esiste più».
Per Jagger non esiste più cioè un possibile paragone, perché il contesto è cambiato e la storia dei Rolling Stones è proseguita ben oltre il 1970, anno dello scioglimento dei Beatles. Per alcuni critici musicali, come Ernesto Assante, il confronto non è nemmeno necessario: «Beatles e Rolling Stones nascono dalla stessa matrice, che sono gli anni Sessanta». Certo, i primi con il loro aspetto pulito, almeno quello degli anni del debutto, ingannano gli adulti, sembrano innocui rispetto ai più trasgressivi e sessualizzati Stones. Intimoriscono di meno, ma sono portatori dello stesso messaggio rivoluzionario, quello che fa nascere la coscienza stessa dell’essere giovane, ossia una nuova categoria sociale nell’Occidente del boom economico.
E se gli Stones sconvolgono per la loro Pietà per il Diavolo, i Beatles lo fanno con un semplice Yee-Yee nel ritornello di She Loves You, come ricorda Assante. In un caso o nell’altro lasciano un segno e parlano alla stessa generazione, alle stesse persone che si divertono a dividersi in fazioni contrapposte di fan, ma proprio come McCartney e Jagger, condividono lo stesso linguaggio e sono due parti indivisibili dello stesso fenomeno.
I Beatles quindi non suoneranno con i Rolling Stones, nemmeno questa volta, o almeno non come lo si poteva immaginare. Quando inizierà a farsi largo la linea di basso di Paul fra i versi di Mick sarà in ogni caso una nuova pagina della storia della musica contemporanea da ricordare, con la speranza di vederli insieme presto anche su un grande palco.
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