È giusto che una canzone composta con l’intelligenza artificiale valga quanto un brano scritto da Ed Sheeran? Se parliamo dal punto di vista dell’innovazione, possiamo ancora stare tranquilli. «Nella composizione di un brano, l’artista continuerà ad avere un ruolo fondamentale. L’intelligenza artificiale pesca ed elabora da un database di musica già esistente: in questo senso, guarda al passato». Paolo Canto è A&R, Label Manager e Artist Manager per OSA Lab. Nel suo lavoro, l’intelligenza artificiale sta diventando un tema sempre più presente: nelle ultime ore ha fatto notizia la rimozione – in termine tecnico take down – dal catalogo di Spotify di decine di migliaia di canzoni create con l’intelligenza artificiale, a causa di ascolti “gonfiati” dai bot. In particolare, sotto la lente di varie etichette (come la Universal Music Group, la prima a denunciare gli ascolti irregolari) e della piattaforma di streaming è finita Boomy, un’applicazione che permette di compore brani attraverso l’uso di Ai.
La decisione di Spotify sul caso delle canzoni prodotte con Boomy, però, non è legata tanto al fatto che si trattasse di brani prodotti tramite software di intelligenza artificiale, «quanto alle pratiche di “boost” illegittime attuate dai soggetti che avevano caricato quei brani, e rispetto a cui Spotify ha rilevato un “abnormal streaming” con conseguente intervento per far rispettare le proprie linee guida», spiega Teodoro Gargiulo, avvocato esperto di diritti in ambito di musica ed entertainment. «Oggi la questione che si pone l’industria musicale – ma non solo – è inquadrare il problema dell’intelligenza artificiale come tecnologia che permette di realizzare facilmente brani musicali. Questo comporta un sovraccarico di opere che, se poi aiutate da pratiche fraudolente come l’abnormal streaming, rischiano di cannibalizzare il valore economico di ciascun ascolto».
Oltre ai problemi legali alle possibili manipolazioni del sistema (e quindi le tecnologie di riproduzione o ascolto illegale), l’Ai comporta un accrescimento di quello che tra gli addetti viene chiamato poor content, ovvero un contenuto di bassa qualità. «Il problema che oggi ha Spotify è inverso e proporzionale a quando è apparso sul mercato: se prima cercava di aumentare il più possibile la sua offerta, oggi di offerta ne ha troppa». Solo su questa piattaforma, ad esempio, ogni giorno vengono aggiunti 100mila nuovi brani. «In questa ondata di contenuti, parafrasando ciò che qualche tempo fa ha detto l’amministratore delegato di Warner Music Group Robert Kyncl, ‘non è giusto che il rumore della pioggia valga quanto un brano di Ed Sheeran». Le piattaforme di streaming, perciò, si stanno scontrando con la difficoltà di differenziare i prodotti per qualità, e la facilità con cui l’intelligenza artificiale permette di creare canzoni non aiuta: solo per Boomy si parla di più di 14 milioni di download, una fetta importante della musica registrata al mondo.
«Il mio sentore è che la scelta di Spotify rappresenti un primo passo per evitare il caricamento sulle piattaforme di poor content, che si configura potenzialmente sia come registrazione di musica di bassa qualità generata dall’intelligenza artificiale sia di tutto quello che musica non è». Perché oltre al problema della produzione di massa, a livello attuale manca una legislazione che definisca quali sono esattamente i titolari degli aventi diritto dei file digitali. «Perciò, in un’ottica di differenziazione della musica sulla piattaforma, Spotify usa le armi che ha: se io oggi ho una policy che mi dice che uno streaming fuori controllo è causa di take down, utilizzerò questo strumento per eliminare questi contenuti».
Secondo gli esperti, però, l’industria musicale si sta muovendo con decisione. «A differenza di ciò che è accaduto con Napster, quando non si fu in grado di intercettare la novità del momento, oggi l’industria musicale ha cambiato approccio, sembra essere più recettiva. Il mondo della produzione musicale è anzi tra i più attenti all’innovazione tecnologica: abbiamo capito che la guerra è chi controlla la tecnologia, non impedire che questa avanzi».