Move Forward arriva primo nella corsa alle elezioni in Thailandia con 151 seggi su cinquecento, ma la vittoria è ancora lontana per il partito dell’opposizione. I cittadini domenica 14 maggio si sono recati alle urne per votare i 500 parlamentari della camera.
Il parlamento thailandese è composto dai cinquecento seggi della camera e 250 del senato. Dal 2017 è entrata in vigore una nuova Costituzione, scritta da governi filo militari, secondo cui i 250 senatori non vengono eletti dal popolo ma nominati dal governo creando, così, un forte legame con l’esercito. Il leader che si candida a Primo Ministro deve essere votato dalle due camere e ottenere una votazione a maggioranza semplice, ovvero superare la soglia dei 376 seggi. Pita Limjaroenrat, leader di Move Forward, dopo il suo vantaggio alle elezioni sta esplorando la possibilità di un’intesa con altri 5 partiti per raggiungere il numero di seggi necessario per governare. «Secondo i calcoli potrebbe arrivare a 309 seggi. Sono tanti ma non bastano per avere la maggioranza. Se si allea con tutti i partiti bisogna vedere quali concessioni fa: il suo programma è molto duro contro la monarchia, ma gli altri partiti sono più tolleranti. Per raggiungere la maggioranza bisognerà vedere riuscirà la coalizione a convincere un certo nume di senatori quando ci sarà il voto per il primo ministro.» Gianluca Modolo, corrispondente di repubblica da Pechino, è stato inviato a Bangkok nei giorni scorsi ha commentato così i risultati delle elezioni.
Ad arrivare secondo, dopo Move Forward, è stato il partito populista Pheu Thai, con una lunga storia nella politica thailandese. Le sue origini vanno ricercate nel partito populista Thai Rak Tha che ha governato dal 2001 al 2006, guidato da Thaksin Shinawatra prima di perdere il potere a causa di un primo colpo di stato militare. Dal 2011 al 2014, la sorella di Thaksin Shinawatra è stata Primo ministro del Pheu Thai, allora principale partito della coalizione, prima del secondo colpo di stato militare condotto da Prayut Chan-O-Cha attualmente Primo Ministro thailandese. Oggi la leader del partito Pheu Thai è Paetongtarn Shinawatra, figlia di Thaksin Shinawatra.
La sconfitta per i partiti della coalizione al governo è stata una disfatta, la popolazione ha espresso chiaramente il desiderio di riformare lo stato attuale del Paese. Ma gli sviluppi dipendono dalle trattative che si svolgeranno nelle prossime settimane che dipendono in larga parte dalle decisioni del Senato. «Prayut nel 2019 è stato rinominato primo ministro, anche se non era il primo alla camera, proprio grazie all’appoggio dei senatori», continua Gianluca Modolo.
Il programma politico che il primo partito dell’opposizione ha presentato tocca diversi punti cruciali dell’attuale realtà thailandese. In primo piano c’è la limitazione dei poteri dell’esercito e della monarchia, oltre alla revisione dell’Art 112 della costituzione che riguarda i “reati di lesa maestà”. «È tra le leggi più severe al mondo, qualsiasi critica al re può essere punita con un massimo di 15 anni di carcere ed è stata molto utilizzata, durante le proteste del 2020-2021, contro i giovani che volevano riformare la monarchia. Il re è considerato una semi divinità, quasi non si può nominare, ma Move Forward vorrebbe ridimensionare il suo potere.» La monarchia, sebbene si tratti di una monarchia costituzionale, è ancora molto sentita fra la popolazione. «Soprattutto il padre dell’attuale monarca era molto amato, a differenza di Vajiralongkorn, conosciuto come Rama X, che piace meno perché viene percepito distante dai thailandesi.»
Oltre alle limitazioni del potere militare e della monarchia, Pita Limjaroenrat vuole eliminare la coscrizione militare e presenta politiche orientate ai giovani. Nel suo programma rientrano la riforma del sistema dell’educazione, l’aumento dei salari minimi e la nuova stesura della Costituzione. I primi due partiti dell’opposizione hanno messo in luce le tematiche LGBT+, «insieme a una forte richiesta di regolamentazione per le sex workers che garantiscono un introito ampio per il paese. I partiti vogliono prendere in considerazione i diritti di queste lavoratrici.»
L’ultima parola spetta al Re, che ha il dovere di approvare la scelta del parlamento con un decreto e dare formalmente l’investitura al Primo Ministro. «Per il momento la monarchia è in assoluto silenzio, non sono inclini ad esprimersi mai nei periodi elettorali. Sarebbe insolito vedere il monarca nominare un primo ministro che vuole ridimensionare il suo potere, ma non è mai successo nella storia che, una volta ottenuta la maggioranza, il candidato venisse respinto dal Re.»