I brillanti occhi azzurri persi nel vuoto, il volto consumato dalla lunga prigionia, il sorriso rassegnato di chi vedeva nella morte l’unico possibile epilogo della sua battaglia. Il dissidente russo Alexei Navalny è morto a 47 anni in un carcere di massima sicurezza siberiano: dal 2021 scontava una pena di 19 anni per “estremismo”.
«Navalny si è ammalato dopo una passeggiata. Lo staff ha tentato di rianimarlo ma senza successo», dichiara un portavoce del Servizio Penitenziario Federale. «Non è morto, è stato ucciso», dissente Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali. Di assassinio politico parla anche il premio Nobel per la pace Dmitry Muratov. La notizia è stata subito rilanciata dai media occidentali: Diana Magnay, corrispondente di Sky News da Mosca, parla di una tragedia spaventosa, «una macchia indelebile sulla coscienza della Russia». Secondo i collaboratori di Navalny le autorità russe hanno negato alla famiglia l’accesso alla salma e le indagini sulla morte sono ancora in corso. L’Unione europea ha promesso sanzioni contro i colpevoli del decesso. «Non c’è solo Putin: gli altri responsabili sono da rintracciare tra i funzionari del sistema penitenziario», ha affermato l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE Josep Borrell.
«Scrivono di arresto cardiocircolatorio, ma fino a ieri sera stava bene: è riuscito anche a collegarsi online con la Corte», dichiara Mikhelidze. «Sono certa che sia stato ucciso. Anche se così non fosse, sarebbe comunque corretto parlare di omicidio: la sua morte è iniziata il 20 agosto 2020, quando fu avvelenato insieme alla sua portavoce in un volo diretto a Mosca. È da allora che soffre di problemi di salute».
In quell’occasione, l’attivista si salva grazie a un atterraggio di emergenza. Poi, il coma indotto e il trasferimento in Germania, dove resterà per oltre un anno ad affrontare la lunga convalescenza.
L’utilizzo di gas nervini nell’attentato era stato confermato dall’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, dopo il ritrovamento di tracce dei composti nelle urine e sulla pelle di Navalny. Le testimonianze degli attivisti Vladimir Kara-Murza e Natalia Arno dimostrano come l’uso di tali agenti sia una pratica tipica nel tentativo di eliminazione degli oppositori politici di Putin. Entrambi, come Navalny, sostengono di essere stati avvelenati a causa delle proprie idee.
«Un assassinio politico a ridosso delle elezioni di marzo potrebbe sembrare una mossa irrazionale, ma a Putin tutto è concesso», sostiene Mikhelidze. Navalny rappresentava una minaccia costante per il regime: negli ultimi mesi si era schierato a fianco di Nadezhdin, il politico indipendente che avrebbe dovuto guidare l’opposizione, se solo la Corte avesse approvato la raccolta firma per la sua candidatura.
Figlio di un ufficiale dell’Armata Rossa, Navalny era russo ma nelle sue vene scorreva sangue ucraino: parlava in modo fluente entrambe le lingue. Nato e cresciuto in una città a 100 chilometri da Mosca, da piccolo trascorre le vacanze estive a casa della nonna paterna, nei pressi di Kiev. Laureato in diritto commerciale, Navalny nutre una grande passione per la politica, che lo spinge ad aderire nel 1999 al partito liberale filo-occidentale Jabloko. È espulso nel 2007 a causa di dissapori con il presidente Grigory Yavlinsky.
In questa fase le sue idee sono contraddittorie: condanna l’odio etnico e la xenofobia, eppure nel 2006 fa appello al municipio di Mosca per autorizzare lo svolgimento della “marcia russa”, corteo nazionalista di estrema destra. Appoggia l’invasione della Georgia nel 2008 e promuove l’espulsione dei georgiani dalla Federazione. Paragona i musulmani del Caucaso a degli scarafaggi, salvo poi pentirsi delle sue dichiarazioni.
Nel 2010 inizia la lotta alla corruzione: sul sito web Rospil pubblica gli appalti truccati degli oligarchi vicini a Putin e tre anni più tardi partecipa a una protesta di strada contro l’autocrate. Navalny si fa portavoce del dissenso dei giovani borghesi, stanchi della corruzione della “vecchia” classe politica.
Nonostante le controversie del passato, Navalny rappresentava una voce di dissenso, necessaria per la tutela della democrazia e scomoda per il regime.
In una dittatura, però, c’è posto solo per una voce, quella del potere. Le altre sono messe a tacere. «Questo è il regime che mostra a tutti la sua faccia peggiore», conclude Nona Mikhelidze. «Putin è senza scrupoli. Agisce così perché sa di poterselo permettere: è una triste realtà ma i russi continueranno a perdonargli tutto».
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