«Non posso essere agitato in questo momento, devo rimanere lucido e cercare di fare il meglio per mia figlia», dice Roberto Salis. Prima di entrare, temporeggia qualche minuto di fronte all’aula del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dove di lì a poco comincerà l’incontro pubblico organizzato per discutere della vicenda della figlia Ilaria. Con tono pacato, ma tutt’altro che rassegnato, il padre della maestra antifascista milanese detenuta a Budapest dall’11 febbraio 2023 si mostra disponibile e risponde a tutte le domande dei giornalisti. Un’unica eccezione. Quando qualcuno gli chiede se il Governo abbia davvero fatto il massimo per Ilaria, risponde netto: «Non fatemi entrare in polemica con le istituzioni, perché non serve a mia figlia».
Gli occhi sono puntati al 28 marzo, giorno della seconda udienza del processo di Ilaria Salis. Le speranze convergono sulla possibilità di ottenere per lei i domiciliari in Ungheria. «Questa è un’azione che ci è stata suggerita dal ministro della Giustizia Carlo Nordio – dice Roberto – ci auguriamo che ci siano i presupposti perché la domanda sia accettata e sia un successo». La verità, però, è che oggi parlare di certezze in relazione al destino della maestra milanese sarebbe errato. «L’ho sentita due giorni fa, sta bene – rivela il padre – ma è preoccupata per le dichiarazioni fatte dal ministro ungherese».
Il riferimento è a quanto dichiarato dal ministro degli Esteri di Budapest, Péter Szijjartó, che si è detto sicuro che Salis abbia commesso dei reati e che, proprio per questo, è giusto che venga punita in modo esemplare. «Un’ingerenza clamorosa», il commento di Roberto Salis. La preoccupazione è che il punto di vista del Governo ungherese possa segnare il destino di Ilaria. Un timore condiviso dal portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, tra gli ospiti presenti, che ha parlato di un processo che «potrebbe essere iniquo», ribadendo la necessità di sollecitare «forme di cooperazione giudiziaria che possano favorire il conferimento degli arresti domiciliari in Ungheria e poi in Italia».
La dimensione politica della vicenda appare sempre più lampante. Il presidente ANPI nazionale Gianfranco Pagliarulo, intervenuto durante l’incontro, ha spiegato: «Il Governo non ha fatto abbastanza. Si è mosso bene su Chico Forti, detenuto negli Stati Uniti per il reato passato in giudicato di omicidio e condannato all’ergastolo in un Paese fuori dall’Unione Europea. L’Ungheria è invece un Paese dell’Ue dove è detenuta una ragazza che è in attesa di giudizio, per cui esiste la presunzione di innocenza». Motivo per cui, continua Pagliarulo, «il Governo avrebbe tutte le carte per poter reclamare, anche in base all’ordinamento europeo, che la detenzione avvenga in Italia». Insomma: l’alibi dell’esecutivo di centrodestra, che finora ha sottolineato di non poter interferire sull’ordinamento giuridico di un altro Paese, non reggerebbe.
Che la vicenda giudiziaria di Ilaria Salis sia contaminata da ragioni politiche ne è convinto anche Riccardo Ricciardi, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Esteri. Durante l’incontro, il pentastellato ha sottolineato come all’interno dell’esecutivo «c’è chi crede che una antifascista non abbia gli stessi diritti di una cittadina italiana». Oltre a quella di Ricciardi, per Ilaria è arrivata anche la solidarietà del deputato del Partito Democratico Paolo Ciani, che ha incontrato Salis in carcere a Budapest, della senatrice di Sinistra Italiana Ilaria Cucchi, in collegamento telefonico, e dell’europarlamentare Massimiliano Smeriglio, che ha inviato un videomessaggio da Bruxelles. Gli interventi della politica si sono mescolati a quelli di alcuni esperti come Alice Riccardi, ricercatrice di Diritto Internazionale, che ha parlato delle possibilità giuridiche a disposizione di Ilaria. Tra queste, quella del «ricorso interstatale», previsto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. «Vorrei contattarla per chiederle di più su questo punto, potrebbe essere molto importante per Ilaria», le parole a margine dell’intervento di Roberto Salis, pronto a tentare qualsiasi strada pur di riportare a casa la figlia.
La sala del dipartimento di Giurisprudenza è quasi piena, ma durante tutto l’incontro permane un rispettoso silenzio. C’è un unico momento in cui si interrompe. Ed è quando il presidente Anpi Pagliarulo dice: «Il 14 febbraio abbiamo fatto una manifestazione a Roma per chiedere il ritorno di Ilaria Salis in Italia. In quella circostanza mi ero augurato che il San Valentino del prossimo anno potesse festeggiarlo nel suo Paese. Qualcuno mi ha sgridato, dicendo che quella data era troppo lontana e che Ilaria dovesse tornare molto prima. Avevano ragione. L’augurio che oggi avanzo a Ilaria è che possa tornare per il 25 aprile, la Festa della Liberazione». Da lì, uno scrosciare di speranzosi applausi. L’Italia antifascista c’è.