«La mia vita è un disastro, ma non nel senso che penseresti leggendo questo schifo». Così il protagonista di American fiction, film che ha ricevuto cinque nomination agli Oscar 2024, sfoga la sua frustrazione per come i neri vengono rappresentati nella letteratura.
L’opera del regista Cord Jefferson parla di pregiudizi, ingiustizie e ipocrisie dell’America contemporanea, e lo fa con un umorismo sfacciato e diretto. È una presa in giro dell’ottusità mascherata da inclusività della cultura woke, che finisce per sostituire i vecchi pregiudizi con nuove gabbie.
Tra le candidature spiccano quella per il miglior film e per il miglior attore, grazie a cui la pellicola, dopo un avvio modesto, sta avendo un notevole successo di pubblico, con incassi che superano i venti milioni di dollari.
Il film racconta la storia di Thelonious “Monk” Ellison, professore di lettere e autore afroamericano che, sull’onda dell’indignazione, decide di scrivere un romanzo pieno di tutti gli stereotipi più superficiali sui neri. Una sfida agli editori bianchi che giudicano i suoi libri troppo poco “black”.
La provocazione di Thelonious, però, viene presa seriamente e accolta come una importante opera letteraria, un ritratto autentico del suo autore immaginario, anch’esso un personaggio costruito ad arte per incarnare tutti i luoghi comuni sulla vita di strada degli afroamericani. Criminalità, ignoranza, e degrado sono gli ingredienti che rendono “Fuck” un bestseller che si aggiudica un importante premio letterario e da cui Hollywood vuole subito ricavare un film.
Travolto dal successo del libro che aveva ideato soltanto come uno scherzo, Monk si ritrova ad affrontare le difficoltà della sua vita reale, in cui una relazione appena nata si intreccia a complicate vicende familiari, e la messa in scena della sua vita immaginaria, quella di Stagg R. Leigh, fantomatico criminale ricercato e autore fittizio del romanzo dei cliché.
Quello di American fiction è un mondo sempre alla ricerca di una diversità perfettamente bilanciata e di contenuti che non offendano nessuno, in cui il protagonista scopre a sue spese che spesso il progressismo ostentato dall’élite culturale è solo un rebranding dei vecchi pregiudizi.
È un film divertente che unisce elementi emozionanti a scene leggere e spiritose. La scrittura vivace gioca con i paradossi di una società che cerca in modo maldestro di rimediare alle discriminazioni, etichettando ogni cosa per metterla “al posto giusto” secondo criteri troppo rigidi e approssimativi. Gli ossimori e le contraddizioni mostrati nel film mettono a nudo le nostre incoerenze, incoraggiando a prendersi meno sul serio e andare oltre la superficie delle cose.
Per tutto il tempo Thelonious cerca di spiegare che la realtà è complessa e non può essere appiattita su luoghi comuni ripetuti all’infinito solo per soddisfare il mercato. Alla fine, Monk perde la sua battaglia contro un pubblico che non vuole la verità, ma solo comode illusioni che lo facciano sentire meno in colpa con se stesso.
La parabola personale del protagonista, con le sue incongruenze, i problemi e le piccole gioie di ogni giorno, è il vero punto cruciale del film: la diversità delle esperienze di ognuno non è riducibile a un titolo accattivante o a una battuta ad effetto. Al di là di ogni approssimazione letteraria e ogni riduzione cinematografica, c’è semplicemente la vita delle persone, tutto il resto è fiction.
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