Ogni volta che si avvia l’applicazione Temu, un marketplace di ultra-fast fashion, o arriva una notifica di un nuovo capo a 2 euro, la sensazione di dover guardare è irresistibile. Lo scrolling veloce mostra capi di abbigliamento alla moda, tutti a prezzi incredibilmente bassi. È come entrare in un negozio infinito, sempre aperto e sempre pronto a tentare h24, sette giorni su sette.
Eppure, la realtà dei fatti è un’altra. Ogni qual volta si scaricano questi e-commerce di fast fashion il danno è fatto. Tutti i nostri dati, i nostri desideri e i nostri gusti sono regalati a qualcuno che li studia e li utilizza in maniera diversa. Quale sia lo scopo è difficile saperlo. Ma avere così tante informazioni private è un valore aggiunto per le aziende, non solo per i risvolti economici ma per campagne di pubblicità mirate.
Secondo Filiberto Brozzetti, Assistant Professor of AI e professore in Data Protection Law della Luiss Guido Carli, la questione è più complessa: «Partendo da siti come Amazon il business model non sta nel prodotto venduto, ma nel dato che viene generato dalla scelta. È lì la vera ricchezza. Le tecniche di big data analysis oggi si intrecciano con le teorie economiche comportamentali. Amazon, però, opera in un ambito occidentale e si piega alle nostre norme. È più controllato rispetto alle applicazioni cinesi».
«La prima che abbiamo imparato a conoscere è TikTok» spiega Brozzetti «dove è evidente il tipo di business model: con lo scrolling riesco ad intercettare i trend social del momento e capire cosa la gente vuole o non vuole. Una sorta di grande catalogo».
Ancora più evidente quando si parla di Shein e dei capi di abbigliamento che mette in vendita: «Non c’è un designer o un direttore creativo che decide mese per mese cosa vendere. Al comando c’è solo l’algoritmo. Pensiamo al concerto di Taylor Swift, un evento seguitissimo da un certo target. L’oggetto più iconico di quello show è stato un guanto a mezze dita. L’algoritmo a quel punto mette in produzione seduta stante il guanto, identico a quello della cantante che viene creato in un mercato schiavile. Quell’indumento dopo quattro o cinque giorni è già in vendita».
«Temu ragiona allo stesso modo di Shein, con prodotti a costi irrisori, ma senza politiche di reso», continua Brozzetti, «anzi rimborsa il prodotto se non lo vuoi, permettendo così al cliente di considerare quei capi “usa e getta” e non tenendo conto dell’ambiente».
Se il fast fashion ha generato tanti problemi all’impatto ambientale, l’ultra-fast fashion è la nuova frontiera dell’iperconsumismo, una minaccia enorme in fatto di inquinamento. Marchi come Temu e Shein immettono sul mercato nuovi prodotti ogni giorno a prezzi bassissimi. Questo oltre a presupporre terribili scenari di sfruttamento, comporta anche la pessima qualità dei prodotti fatti di poliestere, altamente tossici, la cui vita è breve. Questo significa più rifiuti tessili in discarica.
Dopo Shein, che produce la stessa quantità di CO2 di 180 centrali a carbone, ora è la volta di Temu.
Lo slogan di questa app dopotutto è “fai acquisti come un miliardario”. Per accentuare il claim, l’azienda ha messo influencer famose a sponsorizzare e-commerce, senza raccontare del petrolio che queste aziende impiegano per realizzare le loro magliette a tre euro.
Il professore di Computer Science della LUISS, Giuseppe Italiano, entra in merito al suo funzionamento: «L’e-commerce ha registrato un’impennata di popolarità proprio quest’anno. Lanciata nel mercato nel febbraio del 2022, l’anno successivo è stata l’applicazione più scaricata negli Stati Uniti. Grazie alle strategie aggressive di marketing sono riusciti ad incentivare gli utenti a promuovere l’app. Il segreto? Un mix opportuno di raccomandazioni (referral), social media e gamification negli acquisti».
I referral di Temu, infatti, permettono di guadagnare crediti o regali, condividendo contenuti o sconti con familiari e amici. Gli utenti possono anche condividere i propri link o codici di riferimento sulle piattaforme social, e per ogni referral guadagnano 10 crediti, che corrispondono a 10 dollari. «Per non parlare delle recensioni, più se ne fanno, più punti acquisti, instaurando nel cliente un meccanismo vizioso. L’assuefazione aumenta quando si partecipa a concorsi o giochi che permettono di vincere premi. Sviluppando così livelli di ludopatia ai consumatori».
A settembre 2023 Grizzly Research, società di analisi di New York quotata in borsa con l’obiettivo di smascherare aziende sospette, ha pubblicato un report che ha sollevato varie criticità su Temu. Tra tutte ha individuato un’acquisizione di dati diverso rispetto a quanto dichiarato dai suoi sviluppatori, e a quanto fatto da altre app, come ad esempio Amazon ed EBay. Il professor Italiano commenta: «Credo che queste analisi siano ancora molto preliminari. Bisogna esercitare cautela sia nei confronti di Temu che in quelli di Grizzly Research. In particolare, le conclusioni contenute nel report non sono sempre del tutto trasparenti. Non è sicuro che ci troviamo di fronte ad un caso di spyware. Sono necessarie analisi più approfondite».
Gli spyware vengono utilizzati di norma da governi e da forze di polizia per contrastare attività criminali e terroristiche. Non esiste una legislazione su questi programmi, anche se a giugno 2023 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per limitarne l’uso illecito, chiedendo indagini e modifiche legislative per contrastare gli abusi.
Il professor Brozzetti spiega che, a questo punto, si intaccherebbe la cybersicurezza: «Se ci fosse davvero un malware non sarebbe più un problema di protezione dei dati, quindi di tutela di un diritto individuale, ma di un problema di sicurezza nazionale. Con la Cina è sempre molto difficile comprendere qual è il limite tra l’attività privata e le attività governative».
Sui social molte persone hanno messo in guardia sui pericoli di Temu, chiedendo di disinstallare l’applicazione. In particolare, su TikTok si sono lanciati hashtag come #Temumalware e #Temuspyware.
Per il professor Italiano l’unica strategia per proteggersi da questa “minaccia” è mantenere una buona “igiene digitale”: «Adottare un insieme di comportamenti e abitudini che mirino a minimizzare i rischi è importante. Bisogna verificare che sui propri dispositivi non siano installate app di dubbia reputazione. Il consiglio è quello di affidarsi a fonti sicure e leggere le recensioni, anche quelle più critiche».
Le visioni del futuro non sono positive e tendono alla distopia. Secondo il professor Brozzetti: «Arriveremo a un punto in cui saremmo assuefatti dal sistema, in cui ci faremo andar bene qualunque cosa pur di avere un prodotto a due spicci. L’alternativa è la paranoia totale. Quale sia la migliore soluzione non lo so. Se si dovesse scegliere la prima si metterebbero da parte tutti quelli ideali sulla sostenibilità ambientale e sui diritti della persona, favorendo un ente che sfrutta ed inquina».
Anche per il professor Italiano il futuro appare senza compromessi: «Provare la sensazione di “fare shopping come un miliardario” può far dimenticare l’altra faccia della medaglia, ovvero regalare i nostri dati personali. Se penso ad un domani, però, vedo ulteriori sfide legate alle nuove tecnologie interconnesse ed intelligenti. Pensiamo ai dispositivi smart indossabili. A quel punto le domande sulla protezione dei dati ce le porremo ancora?».
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