Esclusiva

Febbraio 29 2024
La moda è anche politica alla MFW con “You must live”

L’artista Aya Mohamed ha curato alla Milano Fashion Week 2024 la collezione di Salvatore Vignola ispirata alla Palestina

Un’ode alla Palestina. Una speranza e un tributo per un popolo sotto le bombe a Gaza. Parliamo di “You Must Live”, la collezione di Salvatore Vignola per la Milano Fashion Week 2024. Un evento curato dall’artista e attivista egiziana Aya Mohamed, che si è tenuto a Palazzo Giureconsulti il 23 febbraio. 

I look intrecciano politica e fashion e si ispirano alla poesia “If I must die” di Refaat Alareer, poeta di Shuja’iyya ucciso il 6 dicembre 2023. Attraverso motivi gessati, texture tattili e manifatture tipiche dell’heritage culturale si racconta la storia di un popolo oltre le bombe e la distruzione. 

La curatrice utilizza la moda per sensibilizzare sui temi di attualità: «È il mio veicolo per esprimermi e fare attivismo. La carriera come content creator e attivista è iniziata nel 2017. Ho sempre parlato di razzismo, femminismo e della causa palestinese sui social». 

La collaborazione con lo stilista Vignola nasce di recente pur conoscendosi da tempo: «Quando Salvatore mi ha chiesto di curare la collezione ho pensato che fosse importante fare un tributo a 360° della Palestina. L’uso di simboli positivi serve a dare valore al mio popolo che in questo momento sta lottando per sopravvivere. Da lì mi è venuta l’idea del titolo: “You must live”, ricollegandomi alla poesia di Refaat Alareer. In quei versi il poeta racconta: “Se proprio devo morire, allora fa sì che i miei indumenti vengano utilizzati per fare un aquilone, così che un bambino palestinese possa vederlo”»

Quindi non solo l’aquilone come simbolo rappresentativo, ma anche il bosco di ulivi. Infatti, la sala che ospita la performance interattiva si trasforma in un mondo fiabesco, in cui degli attori ballano su musiche e danze tradizionali palestinesi: «La coreografia, di Daniele Vitale, si anima di luci, suoni e immagini raccontando una storia di appartenenza. Gli ulivi – spiega Aya – sono centrali perché ce ne sono oltre 10 milioni in Palestina, e ricoprono il 50% del territorio. Un elemento che rappresenta appieno la cultura». A livello visuale, l’esperienza è resa immersiva dalle proiezioni, sulla scenografia, dei dipinti di Amira Suboh, delle foto di Jasmine Barri e della performance di Mohammed el Hajoui. 

I pezzi della collezione giocano con lunghezza e volumi del thobe, abito tradizionale della cultura del medio-oriente e nord Africa, che declina la sua classica forma in modelli unisex, dall’estrema adattabilità su tutti i corpi. L’impatto simbolico degli abiti è amplificato da stampe evocative, realizzate in collaborazione con il duo di designer Trashy Clothing.

La Keffiyeh, una sciarpa tradizionale, è un simbolo della cultura palestinese, centrale all’interno della moda di Vignola: «E’ diventato un simbolo di resistenza non solo in Palestina ma in tutto il mondo. Il colore è bianco per dare un senso di purezza e idillio». 

La moda come atto politico è un concetto che esiste da sempre, e per Aya non può esistere l’una senza l’altro: «C’è sempre un messaggio sociale. Per me Vivienne Westwood è l’emblema della moda politica. Mi ricordo che quando è scoppiata la guerra in Ucraina io stavo entrando alla sfilata di Max Mara. Non appena si seppe la notizia, le passerelle successive a quella avevano preso posizione sulla vicenda o con un discorso o rispettando un minuto di silenzio. Mi chiedo allora perché durante questa settimana, o alla Haute Couture di Parigi, nessuno si sia pronunciato per Gaza».

In questo momento l’industria della moda non si è pronunciata per dire “stop al genocidio”, a differenza di altri ambiti artistici come cinema o musica. Gli unici che si sono esposti, oltre Salvatore Vignola, sono stati gli stilisti Serhat Isik e Benjamin con il brand GmbH. I due ragazzi hanno collaborato a gennaio con SEP Jordan, il brand di Roberta Ventura, che si occupa di vendere “keffieh” realizzate da donne in campi profughi a Gerico.

“You Must Live” quindi riesce ad incrociare culture e necessità espressive di un gruppo di artisti, uniti nell’onorare il patrimonio palestinese e lanciare un appello preciso: basta con guerre e massacri. Anche attraverso la Milano Fashion Week. 

Per approfondire: Il mondo dietro a un vestito