Metti insieme i pezzi, lubrifica gli ingranaggi e fai ripartire il mondo. Non importa quanto sia grande la sofferenza, perché i protagonisti di Aggiustare l’universo (Mondadori, 2023), romanzo di Raffaella Romagnolo candidato al Premio Strega, non conoscono rassegnazione. L’autrice piemontese narra l’incontro della maestra Gilla, staffetta partigiana sopravvissuta ai rastrellamenti nazifascisti, con la piccola Ester, alunna brillante di quinta elementare, che ha smesso di parlare durante la guerra. Vive in orfanotrofio, sui documenti un nome falso, Francesca Pellegrini. Rivolge parola solo al gatto che ha rinchiuso in uno scantinato maleodorante. Aspetta i genitori, Abram e Margherita Sacerdoti.
È Lia Levi a proporre il titolo alla giuria del premio letterario. La storia di Ester sembra una biografia della scrittrice ebrea, sfuggita alle deportazioni in un convento cattolico, diventando Lia Lenti e poi Maria Cristina Cataldi. Il libro ritrae un’infanzia distrutta dal regime di «Sua Eccellenza Cavalier Benito Mussolini». Il primo anno scolastico dopo la Liberazione si alterna alle pagine sul conflitto mondiale, secondo piano narrativo che insegue il primo fino a convergere nel finale. A Casale Monferrato, città natale di Romagnolo, la famiglia Sacerdoti conosce il dramma delle leggi razziali, stampate nei quattro capitoli sulle «Disposizioni relative ai cittadini ebrei». La fredda burocrazia dei decreti, l’esproprio dei beni, la miseria di chi è escluso da scuola e lavoro. «I poliziotti chiamati a vigilare non sempre sono in grado di districarsi» nella matassa di divieti.
Le vite dei familiari si sgretolano. Poi un’ordinanza di polizia firmata dal ministro dell’Interno, Guido Buffarini, apre un abisso: 1° dicembre 1943, «Tutti gli ebrei residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento». I documenti contraffatti non salvano Abram e nonno Giosuè, che vengono caricati su un treno merci diretto in Polonia, ad Auschwitz. Il racconto dell’Olocausto è struggente, manca però uno stile innovativo. La zona d’interesse, miglior film internazionale agli Oscar 2024, ha mostrato che parlare di campi di sterminio non significa rinunciare all’originalità.
Madre e figlia sfuggono alla cattura, trovando rifugio nel convento Nostra Signora di Lourdes. Rischiano di essere scoperte e vengono separate. Ester finisce a Borgo di Dentro, in Liguria. A ottobre 1945 si unisce alla classe in cui insegna Gilla. La guerra è finita lasciandole sole. La perdita di identità accomuna la bimba alla maestra, arrivata nel paese per scampare ai bombardamenti su Genova. È sopravvissuta all’amato Michele, ribelle conosciuto sui monti e ucciso dal piombo tedesco. «Non è tempo di giochetti questo. Di indugi, di ritrosie, sfiancanti rituali di corteggiamento. Non è tempo perché il tempo si è come accartocciato, ristretto, raddensato e la morte è sulla soglia», un presagio che anticipa il lutto.
Il dolore non la ferma, il desiderio di aiutare la bambina le infonde fiducia. Nella crisi non c’è abbandono e i frammenti si ricompongono. Le voci dei morti accompagnano le protagoniste come grilli parlanti. Emergono personaggi straordinari del passato e del presente, che l’autrice caratterizza rendendoli memorabili. La storia viene scandita dalle lezioni immaginarie dell’insegnate, che ripara un planetario meccanico nel salotto di casa, mentre pensa a come spiegare il sistema solare alle alunne. Nel finale, la durezza della trama si scioglie in un messaggio di speranza. Insieme, si può aggiustare l’universo.
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