Esclusiva

Giugno 7 2024
Democrazia e arte in strada, la liberazione di un Paese

La mostra “L’alba che aspettavo. Portogallo, 25 aprile 1974 – Immagini di una rivoluzione”, promossa dall’Assessorato alla cultura di Roma Capitale insieme al Ministero della Cultura del Portogallo, sarà disponibile fino al 25 agosto al Mattatoio

«Em cada esquina um amigo, em cada rosto igualdade» (A ogni angolo un amico, su ogni volto l’uguaglianza) cantava il musicista portoghese José Afonso in Grândola, vila morena. Oggi, queste note riecheggiano negli ambienti del Mattatoio di Roma, come accadde alle ore 00:20 del 25 aprile 1974: mentre la stazione radio Renascença riproduceva questa canzone, le strade di Lisbona diventavano il teatro della Revolução dos Cravos, la Rivoluzione dei Garofani. Fu un colpo di stato organizzato dall’esercito, senza spargimenti di sangue, figlio di un processo di liberazione iniziato già all’interno dei movimenti studenteschi sulla scia del ’68, che mobilitò attivisti e giornalisti da tutto il mondo. La mostra fotografica L’alba che aspettavo. Portogallo, 25 aprile 1974 – Immagini di una rivoluzione è il tentativo di raccontare l’evento storico che, cinquanta anni fa, pose fine alla dittatura decennale di Marcelo Caetano e sancì l’inizio di una nuova epoca, che cambiò per sempre il volto del Portogallo. Il titolo dell’esposizione riprende la poesia di Sophia de Mello Breyner Andresen, che il giorno stesso dell’insurrezione scrisse:

“Questa è l’alba che aspettavo

Il giorno iniziale e puro paese

in cui emergiamo dalla notte e dal silenzio,

e liberi abitiamo la sostanza del tempo”.

Alessandra Mauro, curatrice della mostra con la casa editrice Contrasto, spiega il significato della copertina: «È uno scatto in bianco e nero della fotografa italiana Paola Agosti, che si recò nel Paese per seguire l’evento. Ritrae una ragazza sorridente che tende il braccio in alto mentre stringe un garofano». Questo fiore, infatti, divenne il simbolo della rivolta per il gesto di Celeste Caeiro, una donna che in una piazza della capitale portoghese iniziò a regalare garofani ai soldati.

Tra gli spazi grigi dell’ex Macro Testaccio, sono circa cento le fotografie che dettano la narrazione, dalle più famose di Sebastião Salgado e Ingeborg Lippman, a quelle dei portoghesi Alfredo Cunha e Carlos Gil, ma anche di italiani come Fausto Giaccone e Augusta Conchiglia. Questo avvenimento storico rappresentò per molti fotografi un’esperienza singolare: «Salgado in realtà prima della rivoluzione era un economista, casualmente cominciò a utilizzare la macchina fotografica della moglie. All’inizio la coppia viveva a Parigi, poi partì per Lisbona e lì Salgado realizzò il suo primo reportage».

Democrazia e arte in strada, la liberazione di un Paese

Manifestazioni di piazza ovunque e strade colme di gente, dove si costruirono l’arte e la democrazia. La presentazione, infatti, mette al centro l’incontro tra le persone: «In questo posto ho voluto lasciare libero uno spazio centrale, come per dare l’idea di una strada, che era il luogo di incontro per eccellenza, mentre a destra e sinistra ho distribuito le opere», afferma la curatrice. La sezione iniziale è dedicata alle forze armate, attraverso scatti che raccontano la concitazione di quei momenti, ma un Paese libero è tale solo se può esprimersi attraverso la forza rivoluzionaria delle parole: degli uomini in festa innalzano il giornale che recita il titolo “Republica historia de uma luta” (Repubblica storia di una lotta). «La sede del giornale fu occupato dai lavoratori e divenne un caso europeo talmente importante che quando Eugenio Scalfari decise di fondare un quotidiano lo chiamò Repubblica per questo motivo», racconta Mauro. Andando avanti, ampio spazio è dedicato ai reportage sulle donne, sia durante la decolonizzazione in Africa, sia nella trasformazione culturale del Portogallo: la presenza femminile è molto forte, perchè «si passa dall’invisibilità per decreto alla visibilità desiderata nella vita pubblica e privata, dalla sottomissione alla parità».

Democrazia e arte in strada, la liberazione di un Paese

Le poche immagini a colori sono quelle rurali, che attraverso le varie sfumature, ricreano l’atmosfera delle prime riunioni dei contadini al tramonto, quasi a ricordare Il quarto stato, il dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo del 1901. «Una delle parti che mi sembrava interessante far capire è quanto questo processo rivoluzionario di matrice politica sia diventato di fatto qualcosa che ha formato la cultura di uno Stato», conclude la curatrice.

Democrazia e arte in strada, la liberazione di un Paese

Una delle ultime istantanee sintetizza tutto il percorso espositivo: un bambino dai riccioli d’oro sfila un garofano dalla canna di un fucile G3, sorretto da tre mani e alto quanto lui. È il simbolo del cambiamento, il passaggio pacifico dalla dittatura alla democrazia.

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