Un’esplosione di colori vivaci decora ogni angolo del luogo. Le bandiere arcobaleno sventolano con orgoglio appese alle pareti. Ci sono aree lettura con divani e poltrone, schermi televisivi che trasmettono in diretta le competizioni sportive e stand informativi pieni di volantini e gadget. Le persone sono cordiali e sorridenti, molte indossano magliette con messaggi di supporto e solidarietà. Un chiosco è adibito alla zona caffè e una sala è dedicata ai workshop con un microfono al centro, pronto per essere usato durante le sessioni di dialogo.
Una Pride House è uno spazio temporaneo presente ai grandi eventi sportivi per celebrare la comunità Lgbtq+. Quest’anno, le Olimpiadi di Parigi ne ospiteranno una, organizzata dall’associazione Fier-Play. Questi ambienti offrono un posto sicuro dove gli atleti, i fan e gli alleati possono riunirsi, condividere esperienze e promuovere l’uguaglianza e il rispetto nello sport.
«In 64 Paesi del mondo l’omosessualità è ancora un reato punibile con pena di morte, ergastolo e lapidazione», dice Amazin LeThi, prima atleta asiatica queer nel ruolo di Ambassador per la Pride House France. «Partecipanti della comunità Lgbtq+, provenienti da queste nazioni, gareggeranno a Parigi 2024 e avere a disposizione un’iniziativa del genere fornisce loro un faro di speranza. È la possibilità di essere finalmente se stessi e far sentire la propria voce».
Pianificare delle Olimpiadi che abbiano al centro l’amore per la diversità è fondamentale: «Io dico sempre che scoprirsi per la prima volta è un atto rivoluzionario, che ti cambia la vita. La Francia ha una mentalità aperta, quindi i Giochi saranno inclusivi, senza leggi anti-Lgbtq+ che vietano di indossare simboli arcobaleno o cose simili. Questo è ciò a cui aspiriamo con questo progetto: lasciare un’eredità, anche in vista della prossima edizione».
La rappresentante parla dell’importanza dello sport per ritrovarsi: «Non sarei chi sono oggi se non fosse per lo sport. Mi ha salvato la vita. È un linguaggio che tutti comprendono e possiamo usarlo per incentivare la parità tra individui. Essere una sportiva mi ha dato la fiducia e l’autostima di cui avevo bisogno per accettarmi per quella che sono: queer e vietnamita».
«Non ho ancora mai gareggiato alle Olimpiadi, ma mi sto allenando nel tiro a segno. L’obiettivo è competere per il mio Paese ai Giochi del Sud-est asiatico, che si tengono ogni due anni. Questo farebbe di me la prima atleta Lgbtq+ dichiarata del Vietnam. Poi ovviamente si punta a Los Angeles 2028», aggiunge l’Ambassador.«Aimer c’est du désordre…alors aimons!» (Amare è disordine…quindi amiamo). Questa è la scritta che compare su Le mur des je t’aime a Montmartre – emblema parigino dell’amore espresso in tutte le lingue del mondo – ma la strada verso società in cui ogni “ti amo” è percepito allo stesso modo è ancora lunga. Secondo l’atleta asiatica, non ci resta che «continuare a lavorare per coltivare ambienti sportivi sicuri e accoglienti, affinché tutti possano esprimere la propria identità dentro e fuori dal campo di gioco».
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