Editoriale di Alessandro Imperiali
L’Occidente è vecchio e senza più fantasia. Siamo pochi e sempre meno. Il dato demografico confrontato con gli altri continenti mostra l’incapacità dell’Europa e degli Stati Uniti d’America di rigenerarsi ed essere appetibile agli occhi degli altri paesi del mondo. Logorato dagli interessi dei singoli Stati e inadeguato nel guardare in maniera compatta e concreta al futuro.
Con la Cina, l’Iran e la Russia che penetrano nelle altre nazioni e fomentano rivolte, con i Brics che si organizzano e con le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, non è, però, possibile perdere altro tempo. Per questo, se non si vuole finire per essere una semplice comparsa dello scacchiere geopolitico, la parola chiave è “unità”. Ognuno con le proprie differenze ma decisi sui grandi temi. Unità non solo per legiferare ma di intenti, di solidarietà e di destino. Per costruire insieme nuovi immaginari e ritrovare un’identità comune. Fattori necessari per l’Europa quando gli Stati Uniti d’America appaiono agli occhi del mondo così fragili. La terra dei sogni e della gioventù è finita per essere la culla delle degenerazioni dove a sfidarsi per il comando della Casa Bianca sono Joe Biden e Donald Trump, rispettivamente ottantuno e settantotto anni.
Le ultime elezioni tenutesi tra il 6 e il 9 giugno, nonostante poco cambierà in termini di maggioranze del prossimo Parlamento, hanno mostrato uno spostamento politico verso destra in molte delle principali nazioni dell’Unione Europea, inclusi alcuni tra i fondatori come Italia, Francia, Belgio e Germania. Da quando ancora si chiamava Comunità economica europea (Cee), questo mondo politico porta avanti la retorica dell’Europa dei popoli contro quella degli Stati. Il 9 giugno i popoli hanno dato loro ragione. Riusciranno a tenerli uniti per una nuova pagina da scrivere e per non far diventare luoghi di villeggiatura quelle città che hanno scritto la storia della nostra civiltà? La sfida è grande. La sua gioventù ne sia protagonista.
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