Esclusiva

Agosto 1 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Agosto 2 2024
La storia di Imane Khelif, tra narrazioni false e polemiche sull’identità di genere

La pugile algerina è stata da molti identificata come transgender o, peggio, uomo, ma non ci sono prove della sua transessualità

Agli ottavi di finale del torneo olimpico di boxe femminile, la pugile italiana Angela Carini ha affrontato l’algerina Imane Khelif. Dopo circa quaranta secondi, ha deciso di ritirarsi, «non me la sono più sentita di continuare», ha dichiarato dopo il match. Lo scontro fuori dal ring, invece, era cominciato ben prima, ma le atlete non erano le protagoniste e le “scorrettezze” che sono state dette e scritte non rendono certo giustizia alla “noble art”.

Molti organi di informazione, anche tra i media mainstream, hanno definito la sfidante di Angela Carini una “donna transgender” o peggio un “uomo”. «Un pugile trans dell’Algeria – ha commentato il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini – può partecipare alle Olimpiadi e affronterà la nostra Angela Carini. Uno schiaffo all’etica dello sport e alla credibilità delle Olimpiadi. Basta con le follie dell’ideologia “woke”». Il termine woke è spesso usato in maniera dispregiativa per criticare coloro che sono percepiti come troppo politically correct o impegnati in un attivismo considerato superficiale o esagerato. Dichiarazioni simili sono arrivate dal presidente del Senato Ignazio La Russa su Facebook: «Un transgender algerino contro una donna italiana ai Giochi olimpici… È politicamente scorretto dire che tifo per la donna?».

Non esiste, tuttavia, alcuna evidenza che Imane Khelif abbia intrapreso un percorso di transizione di genere. Stando ai documenti depositati al Comitato Olimpico Internazionale (Cio), l’atleta non è mai stata un uomo, è idonea a gareggiare tra le donne e non esiste alcuna prova a supporto dell’affermazione che sia una persona transgender. Inoltre, nel suo Paese di origine, l’Algeria, non è contemplata la transizione per coloro che si identificano in un genere diverso rispetto a quello assegnato alla nascita. Riferirsi a lei come “atleta transgender”, “algerino”, “nato uomo”, o appellativi simili è dunque non solo offensivo, ma anche infondato.

Quando aveva sedici anni, Imane Khelif era una promessa anche del calcio. Nel villaggio di Tiaret, nell’Algeria Occidentale, una ragazza che faceva sport, e le riusciva bene, era vista come una minaccia. Schivare i colpi dei bulli, ha raccontato in un’intervista all’Unicef, è stato il suo primo approccio con il pugilato.

Il percorso che l’ha portata a rappresentare il suo Paese alle Olimpiadi di Parigi è stato segnato da numerosi ostacoli. Il padre non approvava la sua scelta e per racimolare i soldi dell’autobus con cui andare agli allenamenti vendeva rottami metallici e couscous con la madre.

A diciannove anni si è classificata 17esima ai Campionati del Mondo 2018 a Nuova Delhi e, l’anno dopo, 33esima ai Campionati del Mondo 2019 in Russia. Le sue prime Olimpiadi sono state quelle di Tokyo, dove è stata sconfitta ai quarti di finale dall’irlandese Kellie Harrington.

La battuta d’arresto più dolorosa della sua carriera, però, non è arrivata sotto i colpi di un’avversaria, ma da un test di idoneità di genere. Durante il Campionato del Mondo femminile, tenutosi a Nuova Delhi nel marzo del 2023, la boxeuse è stata estromessa dal torneo a poche ore dalla finale che avrebbe potuto regalarle la medaglia d’oro. Avrebbe dovuto sfidare la cinese Yang Liu, ma i test medici svolti dalla International Boxing Association (IBA) non le hanno concesso di gareggiare.

«Un test del DNA ha dimostrato che l’atleta ha cromosomi XY e che quindi stava cercando di ingannare tutti fingendosi donna». Queste le parole che il presidente dell’IBA Umar Kremlev ha riferito alla Tass riguardo alla squalifica di Khelif. L’affermazione sui cromosomi non è stata confermata dal Cio, che ha specificato che la pugile era stata estromessa a causa di elevati livelli di testosterone. Anche questa motivazione è stata però rigettata dall’atleta, che ritiene di essere stata esclusa per impedire a un’algerina di vincere la medaglia d’oro.

L’International Boxing Association non è più riconosciuta dal Comitato olimpico, a seguito di episodi di corruzione, scandali arbitrali e legami sospetti con la Russia. Lo stesso Mondiale femminile del 2023 era stato boicottato dal Regno Unito in seguito alla decisione di far partecipare anche atlete russe sotto la loro bandiera nazionale, nonostante l’invasione dell’Ucraina.

Le competizioni ai Giochi Olimpici di Parigi sono state organizzate direttamente dal Cio, le cui regole prevedono che la soglia di testosterone in circolo sia inferiore a 10 nanomoli per litro nei 12 mesi precedenti al torneo e per la durata delle gare. «Si tratta di atlete che hanno boxato da sempre con le donne e che rispettano tutte le regole di ammissibilità previste da questi Giochi», ha dichiarato il portavoce del Comitato Mark Adams, specificando che Khelif non trae alcun vantaggio dalla sua situazione ormonale. Infatti, fino ad ora ha perso un incontro su quattro, proprio come Carini.

La bioeticista Silvia Camporesi ha spiegato al Corriere della Sera che la pugile «è una donna. Da quello che leggo, è una persona con “variazioni delle caratteristiche del sesso” (Vcs), che possono comportare anche iperandrogenismo, cioè una produzione di ormoni superiori a una ipotetica media femminile». I fattori in gioco sono diversi, per esempio «la sindrome dell’ovaio policistico. Colpisce fra l’8 e il 13 per cento delle donne». Secondo Camporesi il motivo delle polemiche è culturale: «C’è un po’ di sessismo. I vantaggi genetici endogeni vanno bene solo per la categoria maschile, a quanto pare. Inoltre, le donne sottoposte a questi test genetici vengono tutte dal Sud del mondo. Speriamo sia solo un caso».

Sul caso è intervenuto anche il ministro per lo sport Andrea Abodi, sottolineando la necessità di regole uniformi: «Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Domani non sarà così».

Quello dell’identità di genere e lo sport è un tema sfaccettato, che deve tenere insieme l’inclusività delle competizioni e l’incolumità dei partecipanti. La polemica e la conseguente ondata di narrazioni fuorvianti nascono però da un test di idoneità di cui non si conoscono i dettagli e realizzato da una federazione accusata di corruzione e non riconosciuta a livello internazionale.

Già dal 2023, la fake news sulla transessualità di Imane Khelif era stata diffusa su account social legati all’estrema destra spagnola e latinoamericana. Oggi, con l’avvicinarsi del match contro Angela Carini, secondo il monitoraggio di Idmo e DataLab, alcune community italiane filorusse e legate a QAnon stanno rilanciando la notizia. Dai post appare chiaro l’intento di utilizzare in maniera strumentale una vicenda complessa per corroborare la narrazione secondo cui l’Occidente starebbe degenerando in preda ai deliri dell’ideologia “woke”.

In un contesto di grande complessità, le campagne di disinformazione inquinano il dibattito e diventano presto campagne d’odio. Il rischio è di oscurare così intere vite fatte di sudore e sacrifici, quelli di Imane Khelif, come quelli di Angela Carini. La chiamano tutti Tiger, soprannome scelto dal padre, ex poliziotto costretto alla sedia a rotelle dopo un incidente in servizio e morto subito dopo il ritorno della figlia dalle Olimpiadi di Tokyo. A poche ore dal match, la pugile aveva dichiarato: «Io devo adeguarmi a quello che ha deciso il Cio, quindi domani andrò sul ring e darò tutta me stessa».

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