Esclusiva

Dicembre 4 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 6 2024
Rigopiano, si riapre il processo. «Ci siamo, avremo giustizia»

Il 3 dicembre è arrivato il verdetto della Cassazione sulla tragedia dell’hotel in Abruzzo. Confermata la condanna per l’ex prefetto di Pescara Provolo

«Finalmente versiamo lacrime di gioia. Dopo otto anni, per la prima volta esco da un tribunale con un pizzico di soddisfazione, di felicità». La mamma di Emanuele Bonifazi, il receptionist dell’Hotel Rigopiano, stringe nella mano il ciondolo a forma di cuore con la foto del figlio. È commossa dopo la lettura della decisione della Cassazione: non c’è ancora un verdetto definitivo per il caso Rigopiano. La sentenza di appello, che aveva escluso la responsabilità dei sei dirigenti del servizio di protezione civile della regione Abruzzo per i reati di disastro colposo e omicidio e lesioni colposi, è stata annullata. Questo significa che le loro posizioni verranno esaminate in un nuovo processo. 

Non saranno i soli. Davanti ai giudici di merito si risiederanno anche l’ex sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il tecnico del comune Enrico Colangeli e i dirigenti provinciali Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio. La Cassazione, infatti, ha annullato le loro condanne e adesso sarà una nuova corte a rivalutare le loro eventuali responsabilità. Nessun appello bis, invece, per l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo: la sua condanna ad un anno e otto mesi diventa dunque definitiva. 

Rigopiano, si riapre il processo. «Ci siamo, avremo giustizia»

La pronuncia è arrivata a cinque giorni di distanza dalla prima udienza di fronte ai giudici di piazza Cavour. Un’attesa estenuante per i familiari: nell’Aula Magna si respirava un’aria di tensione, le sedie rosse di pelle erano tutte occupate. Confusione, sguardi rivolti verso gli scranni di legno aspettando la decisione. Poi, l’emozione e gli abbracci. 
I parenti delle vittime escono dall’aula scansando il tendone grigio di velluto uno dopo l’altro. Come una grande famiglia, unita da un dolore comune e dalla consapevolezza che, nonostante siano passati anni, dovranno rivivere ancora una volta, nei palazzi di giustizia, la tragedia di quel 18 gennaio 2017. 

«Mia figlia Cecilia, 22 anni, lavorava come estetista nella spa. Per lei Rigopiano era casa, aveva lì tutte le sue cose. Per la prima volta, la mattina del disastro, mi disse che non vedeva l’ora di tornare nel suo letto» aggiunge Angela Spezialetti, un’altra delle “mamme di Rigopiano”.  

Storie differenti, ma unite dallo stesso triste destino. 

Una fuga romantica, una vacanza in famiglia, il posto di lavoro, il progetto di una vita. Per ognuna delle ventinove vittime, l’Hotel Rigopiano rappresentava qualcosa di diverso.
L’albergo di montagna, alle pendici del monte Siella, a poche curve dal paese di Farindola, piccolo comune abruzzese, era un paradiso in mezzo al bosco. Le luci e le decorazioni natalizie erano ancora lì quando alle 16:49 del 18 gennaio la valanga travolse tutto, portando silenzio, distruzione e morte. 

«I primi soccorsi arrivarono soltanto dopo ore», ricorda un familiare mentre scende le scale. Alcuni tra gli undici sopravvissuti rimasero intrappolati nelle macerie per quasi sessantadue ore. 

Rigopiano, si riapre il processo. «Ci siamo, avremo giustizia»

Da quel giorno sono passati otto anni. Nelle aule di tribunale, si è discusso di eventuali responsabilità, rischi, ritardi nella catena dei soccorsi.
Uno scenario complicato, cha ha dato il via a una vicenda processuale altrettanto complessa. La Corte di Appello di L’Aquila aveva pronunciato otto condanne e ventidue assoluzioni. Adesso, per alcuni comincerà un nuovo capitolo. La veste è sempre la stessa, quella di imputati. A cambiare, sarà soltanto la sede: andranno davanti ai giudici di secondo grado di Perugia.

«Sarà faticoso» sospira Gianluca Tanda, che a Rigopiano ha perso il fratello Marco. Ha un nodo alla gola, riesce a dire soltanto poche parole. «È lo Stato che giudica se stesso, ho sempre detto che la regione non può uscirne indenne. Sugli altri processi ci sono cose da dire, ma non è questo il momento».

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