Ergastolo. È questa la pena decisa dalla Corte d’Assise di Venezia per Filippo Turetta, responsabile del femminicidio di Giulia Cecchettin l’11 novembre 2023.
In aula, poco prima che il presidente del Collegio Stefano Manduzio leggesse la sentenza, c’era solo silenzio: nessuna replica da parte del pubblico ministero Andrea Petroni né dai legali della difesa, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera. L’unico scambio che ha interrotto la quiete è stata una stretta di mano tra il padre della vittima, Gino, e l’avvocato dell’imputato, un gesto carico di significato dopo le parole che Cecchettin aveva scritto sui social, accusando la difesa di aver «umiliato la memoria di Giulia». Si riferiva all’arringa finale in cui i legali di Turetta avevano definito l’ergastolo una pena «inumana e degradante» perché «non è mica Pablo Escobar», aveva detto Caruso che, durante l’ultima udienza, ha aggiunto: «Filippo sa che dovrà passare buona parte della sua vita in carcere, anche se non fosse il fine pena mai».
Turetta era chiamato a rispondere di accuse gravissime: 75 coltellate inflitte a Giulia, omicidio volontario aggravato da premeditazione, efferatezza e occultamento di cadavere. Non sono state riconosciute invece la crudeltà dell’atto e il reato di stalking. La Corte ha ritenuto la condanna all’ergastolo la pena più giusta, motivando la decisione con l’aggravante del legame affettivo tra vittima e carnefice e la premeditazione del gesto, respingendo le tesi difensive in modo netto.
«Non mi sento di chiedere scusa», aveva scritto Filippo Turetta nel memoriale in cui ripercorreva i fatti dell’11 novembre, mostrando, secondo molti, una mancanza di pentimento per il crimine commesso. Questa dichiarazione ha sollevato forti reazioni, con i familiari di Giulia che hanno sottolineato la freddezza dell’imputato e l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità. «Abbiamo perso come società e io come padre ho perso tutto», dice Gino Cecchettin dopo la lettura della sentenza.
L’assassinio di Giulia ha riacceso il dibattito sulla violenza di genere in Italia, evidenziando la pericolosità dei legami affettivi malati e possessivi. Le amiche della vittima hanno raccontato come Turetta cercasse di isolarla e controllarla, impedendole di confidarsi e manifestando atteggiamenti patologici. Elementi emersi anche da ciò che Giulia aveva scritto sul suo diario, elencando i 15 motivi per i quali voleva chiudere la sua relazione con Filippo. Le pagine in questione hanno ottenuto una forte risonanza soprattutto sui social network e, a dimostrazione dell’importanza sociale di questi fatti di cronaca, le chiamate al numero 1522 (numero anti violenza e stalking) sono aumentate del 37,3% nel terzo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Solo il 27% di queste si sono poi tramutate in denunce effettive. «La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, non con le pene», ha aggiunto Cecchettin al termine della sentenza.
Dopo la recente condanna all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, assassino della fidanzata Giulia Tramontano incinta di 7 mesi, e a un anno dall’omicidio di Giulia Cecchettin, anche il governo si sta muovendo per contrastare il fenomeno della violenza di genere: la ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella ha infatti proposto un testo unico contro la violenza sulle donne, annunciato proprio nella giornata del 25 novembre, in cui ricorre la giornata internazionale per la sensibilizzazione sul tema. Come ha concluso papà Cecchettin: «Ora si cerca di andare avanti».