Esclusiva

Febbraio 11 2025
Il grido interiore, la nuova mostra di Munch arriva a Roma

L’esposizione sul pittore norvegese arriva a Palazzo Bonaparte, un’occasione unica per scoprire l’artista oltre “L’urlo”

Per molti Munch è solo un nome. Anzi, è solo parte del nome di quel famoso dipinto che si trova sui libri di storia dell’arte e sulle magliette, sulle penne a sfera, sulle borracce di alluminio e su molti altri oggetti di ogni tipo. L’urlo di Munch, scritto tutto insieme, un’espressione che riduce uno degli artisti più importanti e influenti del XX secolo a una preposizione.

Edvard Munch è stato anche molto altro, e oggi si presenta una possibilità unica di scoprirlo. La mostra “Munch, il grido interiore”, include anche lui, L’urlo, o meglio una delle tante versioni de L’urlo, ma trascende l’opera che ha reso immortale il pittore norvegese. I cento dipinti esposti, che coprono la sua intera carriera, restituiscono prima di tutto i frammenti di un uomo con le sue debolezze, le sue ossessioni, il suo entusiasmo e la sua disperazione.

Il grido interiore, la nuova mostra di Munch arriva a Roma
La versione de L’urlo (1895) presente a Palazzo Bonaparte

«In questa mostra si può vedere lo sviluppo di una voce e di una visione, da quando Munch era giovane fino alla fine della sua vita», racconta Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose dell’artista e curatrice della rassegna. «Il grido interiore è un’urgenza di mostrare come lo sguardo, la memoria e le emozioni influenzano la nostra percezione del mondo».

L’esposizione arriva a Roma dopo il grande successo ottenuto a Milano, e le premesse per replicare le visite record di Palazzo Reale ci sono tutte. Come sottolineato nella conferenza stampa per l’inaugurazione, organizzare una mostra del genere non è affatto semplice, dato che quasi tutte le opere di Munch sono custodite a Oslo e vengono concesse in prestito solo in rare occasioni. Un evento storico, che la Capitale accoglie nella monumentale cornice di Palazzo Bonaparte, ristrutturato solo nel 2019.

Appena varcata la porta d’ingresso, si è subito di fronte a un’opera che racchiude molti elementi della poetica di Munch. Malinconia accoglie il visitatore con uno sguardo profondo e assente, diretto a un punto lontano nello spazio alle spalle di chi osserva. I grandi occhi scuri di Laura, sorella del pittore ritratta nel dipinto, puntano verso la realtà esterna ma si rivolgono al proprio mondo interiore, quel piano emotivo che è l’obiettivo ultimo della ricerca artistica di Munch.

Il grido interiore, la nuova mostra di Munch arriva a Roma
Laura, sorella di Edvard Munch, ritratta nel dipinto Malinconia (1900-1901)

La sua incredibile capacità di trasformare i sentimenti in forma e colore ha un legame stretto con la sua esperienza personale. L’infanzia di Edvard è segnata dal lutto e dalla malattia. La madre muore di tubercolosi quando lui ha appena cinque anni e nove anni dopo la stessa malattia spezza un rapporto di grande affetto con la sorella Johanne Sophie. Durante il suo soggiorno a Parigi, dove entra a contatto con le influenze post-impressioniste, Edvard apprende della scomparsa del padre, una perdita che lo riporta alla sofferenza dell’adolescenza in Norvegia e plasma la sua visione del mondo.

Il dolore e la morte sono temi ricorrenti in molte delle sue opere, ma la vita e la grandezza di Munch non possono essere ridotti solo al lato più oscuro. «Ha avuto un’esistenza complicata e ha sofferto molto, ma ha anche avuto delle relazioni felici, ha visto riconoscere il suo valore artistico e ha acquisito potere» – spiega Berman – «Nel suo lavoro ha scavato a fondo nei momenti più intensi della sua vita e li ha usati per esprimere delle esperienze universali».

Nel 1889, nel pieno dell’entusiasmo per l’esposizione universale parigina, Munch si trasferisce in Francia e inizia a spostare la sua attenzione dalla riproduzione della realtà all’espressione dell’interiorità. «Non dipingo la natura: la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto», scrive il pittore stesso in uno dei suoi diari. Più tardi, a Berlino, Munch trova la sua voce, lo stile che lo rende famoso a livello internazionale. È qui che ha inizio il periodo di maggiore produttività dell’artista, durante il quale vedono la luce molti dei suoi capolavori.

Alcune delle immagini più potenti e provocatorie della mostra riguardano la sua relazione con Tulla Larsen, l’unica donna che il pittore abbia mai pensato di sposare. La figura della fidanzata di Munch diventa il soggetto sinistro di molti dipinti, un simbolo di passione e violenza che rispecchia il loro rapporto turbolento. Una delle opere più rappresentative di questa serie è Assassinio, trasposizione tragica dell’ultimo incontro tra i due.

Il grido interiore, la nuova mostra di Munch arriva a Roma
Assassinio (1906)

«Mi sono innamorata dei quadri di Munch la prima volta che li ho visti perché mi hanno sconvolto» – ricorda la curatrice – «ho realizzato che questa persona aveva creato un universo che ha cambiato il mio modo di vedere le cose». Come spesso accade ai grandi artisti, l’estrema sensibilità emotiva che Munch riusciva a tradurre in genio estetico si sviluppa alle spese della sua stabilità psicologica. Ai periodi di grande creatività corrispondono anche tendenze autodistruttive, abuso di alcool e problemi di salute mentale.

«Non penso che la sofferenza sia necessaria per essere un grande artista, ma di sicuro suscita emozioni molto profonde. Essere in grado di analizzare e condividere queste emozioni è ciò che conta», commenta Berman.

Al secondo piano dell’esposizione si trovano molte opere della fase finale della vita dell’artista norvegese, che negli ultimi anni si ritirò nella sua tenuta in campagna vicino a Oslo. Diverse tele composte in questo periodo rappresentano situazioni agresti, un mondo semplice, lontano dalle passioni struggenti di dipinti come La morte nella stanza della malata o Amore e dolore. Dopo aver compiuto un lungo viaggio lungo l’esistenza del pittore, queste opere, insieme ai molti autoritratti realizzati in vecchiaia, appaiono come una ricerca di serenità di fronte alla vita e a se stesso.

Le parole di Patricia Berman, che ha speso molti anni a studiare e ammirare il lavoro di Munch, individuano con precisione ciò che rende l’artista scandinavo un genio senza tempo: «Quando guardiamo i suoi dipinti possiamo entrarci, possiamo completarli. È come avere un dialogo con lui. Le sue opere, anche se hanno più di cento anni, ci parlano ancora».

L’invito per chi passasse da Roma nei prossimi mesi è a non perdere l’occasione di entrare nel mondo di una delle menti creative più profonde dell’arte contemporanea. C’è tempo fino al 2 giugno 2025.

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