Chi se non un soldato o un amante sopporterà il freddo della notte. L’amore e la guerra. I due istinti naturali dell’uomo. Coppie di amanti coscienti che ogni saluto potrà essere l’ultimo, come Ettore e Andromaca che di fronte a Troia assediata si guardano. Lei lo implora di non partire ma lui sa che non ci sono altre opzioni. Deve imbracciare le armi e combattere per la sua Terra. Con lo sguardo di lei nel cuore, incapace nel dimenticarlo.
La storia di Igor e Natalia è così ma dei nostri giorni. L’epica dell’Iliade lascia il posto al fronte ucraino. Sono passati tre anni dall’inizio della guerra. E se in un caso i due erano sposati da tempo, nell’altro, quello non scritto in versi ma con il sangue, decidono di sposarsi proprio nel periodo più difficile della loro vita. «Il nostro amore è nato in guerra, ed è stato un amore sincero, profondo, reciproco», racconta Natalia.

«Ci siamo conosciuti il 14 febbraio, il giorno di San Valentino, e per noi questo ha un grande valore simbolico. Penso a lui ogni giorno, costantemente. Per sentirlo più vicino e credere che tutto andrà per il meglio, mi piace ricordare il nostro primo incontro». I due si conoscono, si frequentano e si amano. Fino all’inizio di giugno 2023, dopo l’esplosione della centrale idroelettrica di Kakhovka, quando la donna perde tutto. «Avevo un piccolo negozio nel villaggio di Sadove (ndr. Oblast di Ternopil). In un solo giorno tutto è stato sommerso dall’acqua. Sia la mia casa che il mio negozio, e sono rimasta senza nulla». Nella disperazione restano dei motivi per andare avanti. «In quel periodo, mio marito si trovava nel nostro villaggio con il suo battaglione e quando è avvenuta l’esplosione della centrale di Kakhovka, io sono rimasta senza nulla, ma lui era lì. Tre giorni dopo mi ha chiesto di sposarlo».
Il matrimonio in tempo di guerra è una scelta dove l’apparenza lascia lo spazio alla sostanza della volontà. Non esistono cerimonie, lunghi abiti bianchi, tavolate e balli fino a notte inoltrata ma una fila e una registrazione all’ufficio di stato per promettersi eterno amore. «Essere la moglie di un militare è un peso molto difficile da portare. Sei sempre in ansia per la sua vita. Ti preoccupi continuamente di come stia, se non si è ammalato, cosa ha mangiato, ma soprattutto l’angoscia più grande è sempre la stessa: che rimanga vivo e illeso. Ogni giorno preghi per lui, perché lo ami profondamente e temi per la sua sicurezza in ogni momento».

Igor è originario di Kakhovka, una città nell’oblast di Kherson. È un comandante delle forze d’assalto aviotrasportate, sono unità di fanteria che vengono portate sul campo di battaglia o tramite gli elicotteri o lanciandosi con il paracadute.
Quando si chiede a Natalia il momento peggiore della sua vita risponde: «A un certo punto, dal fronte di Kherson, la sua unità è stata trasferita nella direzione di Donetsk. Ricordo benissimo il momento in cui ho saputo della sua riassegnazione: ho pianto per due settimane. Ero terrorizzata all’idea di perderlo. Continuavo a pensare che potesse succedergli qualcosa, perché il fronte di Donetsk è sempre stato il più caldo, con perdite enormi. Sapevo che il suo reparto, le forze d’assalto aviotrasportate, è sempre in prima linea. Per questo, il timore per la sua vita non mi ha mai abbandonata».

Lo è anche andato a trovare nei momenti meno intensi della guerra. Lo ha raggiunto a Pokrovsk, Kurakhove e Selydove. Ora, però, i combattimenti sono troppo intensi e «l’idea che possa tornare a casa, anche solo per poco, non è nemmeno un’opzione». L’unico modo che hanno per rimanere in contatto è tramite i messaggi o in videochiamata. Le lettere scritte a mano lasciano spazio alle dita che digitano sullo schermo del telefono. «Le nostre conversazioni avvengono per lo più in videochiamata, ma solo quando lui ha la possibilità e c’è connessione, perché le comunicazioni vengono spesso interrotte. A volte capita che per settimane non ci sia alcun contatto, e in quei momenti l’ansia è terribile».
I loro sogni sanno di normalità: «Spesso immaginiamo la nostra vita dopo la guerra. Sogniamo di comprare una piccola casa, la nostra “casa della felicità”. Un piccolo angolo tutto nostro. Non abbiamo bisogno di una casa grande, ma solo di un rifugio, un nido familiare. Saremo noi due, mia madre e i nostri due amati cani. La prima cosa che faremo dopo la guerra sarà visitare i genitori di mio marito, che oggi vivono sotto l’occupazione e ci aspettano con impazienza. Sarà il nostro primo viaggio».
Cambiano le armi e i mezzi. Prima mitraglia, foglio e penna a inchiostro oggi droni, smartphone e connessione internet. Niente spot pacifisti alla “fate l’amore, non fate la guerra” ma vita vera. Reale come una granata, lancinanti come la paura, mozzafiato come il bisogno di rivedersi. Con i bisogni di chi è sul fronte che, millennio dopo millennio, restano ancora gli stessi: far sapere a chi li aspetta che sono vivi e che le amano ancora. I due istinti naturali dell’uomo. L’amore e la guerra. Perché, come Ovidio insegna: credimi, Attico, ogni amante è un soldato.
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