Napoli vive di personaggi. Figure che il popolo elegge a simbolo, trasformandole in specchi in cui riconoscersi. Totò, Massimo Troisi, Diego Armando Maradona: Napoli li adotta, li ama visceralmente, li trasforma in miti. Tra le persone che Napoli ha elevato a simboli eterni, l’ultimo ad oggi è stato Pino Daniele, scomparso nel 2015. Un artista capace di fondere radici popolari e influenze internazionali, blues e dialetto, dando voce a una città ferita ma viva, fragile e fiera
Oggi la città gli rende omaggio con la mostra Spiritual, visitabile dal 20 marzo al 6 luglio 2025 nelle sale Plebiscito e Belvedere del Palazzo Reale di Napoli. Il progetto è stato realizzato con la collaborazione della Fondazione Pino Daniele, che ha messo a disposizione gran parte del materiale espositivo, insieme a Ministero della Cultura, Regione Campania e Comune di Napoli.
L’esposizione ripercorre la vita e la carriera del Mascalzone Latino, dalle prime jam session nella grotta di tufo a Materdei fino alla consacrazione nazionale. Il percorso si articola in due sale, attraverso video, oggetti personali, strumenti, appunti e installazioni immersive.
La prima sala è dedicata agli esordi, dal 1955 al 1977. Racconta gli anni della formazione, tra il desiderio di restare defilato e il bisogno di suonare in gruppo, prima con i Batracomiomachia, poi con i Napoli Centrale. Il percorso si chiude in una sala immersiva, dove le immagini dell’artista scorrono sulle note di Terra mia.
La seconda sala attraversa tutta la produzione musicale fino al 2014, tra cimeli, annotazioni, confessioni e spezzoni di concerti. Traccia il profilo di un artista capace di mescolare influenze globali e identità napoletana, fino a farsi riconoscere da nomi come Eric Clapton, Chick Corea e Joe Bonamassa.
«Urlo le mie canzoni perché mi sento coinvolto, perché la musica che faccio, soprattutto, la vivo. Di carattere sono abbastanza arrabbiato e, sul palcoscenico, mentre canto, voglio dare al pubblico voglio dare quello che veramente sono», è una delle tante frasi di Pino Daniele che accompagnano il visitatore.
Sono le installazioni visive a lasciare il segno: spezzoni di concerti proiettati nelle sale riportano il pubblico indietro nel tempo. Anziani e bambini si fermano in silenzio. Per qualche minuto, tutto scompare. Resta solo la sua voce e il desiderio di tornare a quando Pino Daniele era ancora lì, a cantare e vivere Napoli.
Schivo e riservato, ha sempre vissuto la musica come una necessità. Un’urgenza che si è fatta più forte con l’arrivo dei primi problemi di salute. Ma nella mostra emerge anche il lato più intimo e conflittuale del suo legame con la città: «A Napoli non ci posso vivere, mi incazzo. Vorrei vivere a Piazza Plebiscito, ho mia madre lì, però non posso andarci. Mi dà fastidio la gente che mi corre dietro, l’invadenza. Invece a Milano il rapporto con la gente è diverso, mi lasciano camminare. Io voglio fare anche questo lavoro, ma non solo», racconta in una delle citazioni.
Pino amava profondamente Napoli, ma a tratti la sentiva soffocante. Avrebbe voluto restare defilato, lasciare che fosse la musica a parlare per lui. Una musica che raccontava Napoli in tutte le sue contraddizioni, ombre e bellezze. La città, in cambio, non ha mai smesso di riconoscerglielo e di amarlo. «Pino Daniele, oltre a farci innamorare con le sue parole e la sua musica, ci ha dato anche un orgoglio di essere partenopei», racconta Filippo, mentre guarda una delle sue foto.
Spiritual non è solo un viaggio nel suo processo creativo. È un ritratto umano, essenziale, lontano da ogni mitizzazione. Un’occasione per entrare in un mondo più initimo, nella sua quotidianità più autentica, per capire l’uomo dietro la voce. Una voce che Napoli non ha mai dimenticato.