Dietro le mura delle carceri italiane sta prendendo forma una svolta epocale. La sessualità delle persone detenute è entrata nel dibattito pubblico e nell’agenda istituzionale, spinta da un nuovo orientamento giurisprudenziale e da una crescente sensibilità sul tema.
I primi segnali arrivano dalle carceri di Parma e Terni, dove due magistrati di sorveglianza hanno dato attuazione a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nel gennaio 2024. In particolare, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale il divieto di colloqui privati non controllati, riconoscendo il diritto alla sessualità come parte essenziale della dignità della persona.
Sebbene non esista ancora una normativa nazionale organica, le due ordinanze hanno imposto alcune condizioni comuni. I colloqui, infatti, devono avvenire in locali idonei e senza la presenza diretta della polizia penitenziaria, ma in modo che sia comunque possibile garantire la sicurezza: la porta della stanza non potrà essere chiusa a chiave e il tempo massimo concesso è di due ore.
Il mantenimento dei legami affettivi e sessuali rappresenta una base per il benessere psico-fisico del detenuto e per il reinserimento nella società: «Sarebbe la deprivazione di un bisogno, non fondamentale, ma è comunque una necessità che in ottica rieducativa potrebbe essere funzionale», spiega la psicologa e sessuologa Lucrezia Giuliani. Nella piramide dei bisogni di Maslow, la sessualità, declinata però in ambito riproduttivo, è valutata tra i bisogni primari. Essa può essere considerata anche come un linguaggio relazionale: «è un veicolo, sia per l’uomo che per la donna, che si intreccia con identità autostima, desiderio di intimità e attaccamento», e che può influire sul rapporto di coppia tra la persona detenuta e il coniuge, in quanto forma di «conferma affettiva».
Da un punto di vista teorico, si è studiato come l’attività sessuale riduca lo stress e crei un migliore impatto relazionale, non solo con il partner, ma anche con gli altri. «Essendo il carcere rieducativo e riabilitativo nella nostra società, avere un comportamento che non sia più aggressivo o stressato potrebbe essere un buon punto di partenza per far funzionare il completo reinserimento nella società».
Nel resto d’Europa, la questione ha raggiunto una fase più avanzata. In Francia, Spagna, Germania e nei paesi scandinavi, le cosiddette family visits sono una realtà consolidata da anni. L’Italia è rimasta ancorata a un’impostazione che considera il carcere come luogo di espiazione e controllo. Roma, infatti, è stata più volte richiamata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per la violazione dei diritti dei detenuti, compresi quelli legati alla vita privata e familiare.
«Il mio parere da professionista è che bisognerebbe valutare la motivazione per cui si è entrati in carcere. Dovrebbe essere attenzionato un po’ di più il profilo psicologico del detenuto e poi decidere caso per caso», ha spiegato la dottoressa Giuliani, «per condotte violente mi viene da dire che sarebbe difficile approvare una cosa del genere».
La questione non è stata esente da critiche, ma la ex garante dei diritti dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni risponde: «Chi ha questi pregiudizi non conosce la vita del carcere. La sessualità non viene annullata e a volte diventa un problema perché ci sono casi di violenza e di omosessualità forzata». Il problema è tanto noto quanto è rinomata anche la mancanza di spazi adeguati a questa concessione e il numero limitato di agenti di polizia penitenziaria a disposizione. «Per fortuna ora c’è una sentenza. Il punto è che sulla carta ci sono, ma di frequente l’Italia non le ha rispettate». Come ha sottolineato la dottoressa Giuliani, anche Stramaccioni chiarisce che «i reati ostativi hanno un sacco di preclusioni e limiti, e questa opportunità non è indistinta». È in corso una ricerca in diverse carceri del Paese, seguita dal medico Sandro Libianchi, che prevede dei questionari proprio sulla possibilità di avere rapporti sessuali in carcere con i coniugi. I risultati mostrano che un buon numero di detenuti si considera non favorevole alla concessione per motivi di privacy.
Parlare di sesso in carcere spinge a interrogarsi sul senso stesso della pena. Per le esperte, la reclusione priva la libertà, ma non cancella i bisogni più profondi: il desiderio di sentirsi amati, la necessità di un contatto.
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