Il 9 aprile 2025, tre cittadini americani condannati a morte nella Repubblica Democratica del Congo sono stati rimpatriati negli Stati Uniti. Marcel Malanga, Tyler Thompson e Benjamin Zalman-Polun erano stati arrestati nel maggio 2024 con l’accusa di aver partecipato a un tentato colpo di stato contro il governo del presidente Felix Tshisekedi. Dopo la commutazione della pena all’ergastolo, Kinshasa ha deciso il loro trasferimento negli Stati Uniti, pochi giorni dopo un incontro tra una delegazione americana e il presidente Tshisekedi.
Questa vicenda diplomatica nasconde però una rete di interessi economici e geopolitici più complessa di quanto possa sembrare. Nell’incontro tra i funzionari statunitensi e il governo congolese, infatti, non si è discusso soltanto dei prigionieri. Il presidente Tshisekedi ha offerto a Washington una quota delle risorse minerarie del Paese, tra cui riserve di cobalto, litio e tantalio, di cui il Congo è ricco. Questi materiali sono cruciali per la produzione di tecnologie avanzate, batterie e chip. Per questo, gli Stati Uniti considerano queste risorse strategiche per ridurre la dipendenza dalla Cina, finora dominante nel controllo e nella raffinazione di terre rare e minerali critici, fondamentali per la transizione energetica e tecnologica.
Proprio queste tecnologie digitali – semiconduttori, infrastrutture cloud e reti – sono diventate ormai strumenti decisivi nella competizione globale tra potenze. Attori come Stati Uniti, Cina e Unione Europea stanno cercando di rafforzare il proprio peso internazionale anche attraverso la gestione delle risorse primarie necessarie per la produzione delle tecnologie strategiche. L’altro tassello fondamentale di questo confronto è il controllo delle infrastrutture chiave. Infatti, anche il mondo digitale, che ormai è un nuovo dominio di scontro e teatro di conflitti ibridi tra Stati, si fonda su infrastrutture critiche che ne assicurano il funzionamento.
Una di queste sono i cavi sottomarini per il passaggio di dati sul web in tutto il mondo. Il 99% del traffico internet mondiale passa attraverso questi cavi, strutture di fibra ottica che collegano continenti e Paesi, trasportando informazioni sensibili e transazioni finanziarie per migliaia di miliardi di dollari ogni giorno.
Proprio la loro importanza li rende vulnerabili e sempre più spesso obiettivi di sabotaggi o attacchi ibridi. Negli ultimi anni, gli episodi di sabotaggio sono aumentati. «Abbiamo già notato l’interruzione di cavi sottomarini in area baltica, verosimilmente da parte di Mosca, e questo è senz’altro un fronte destinato ad ampliarsi, cosa che richiede grande attenzione anche da parte italiana», avverte Antonio Stango, esperto della Federazione Italiana Diritti Umani (Fidu). Nel novembre 2024, due cavi sottomarini nel Mar Baltico sono stati danneggiati. La Germania ha parlato di probabile sabotaggio, mentre la polizia svedese ha puntato il dito contro la nave cargo cinese Yi Peng 3, presente nell’area al momento dei fatti. Anche Taiwan ha registrato diversi incidenti attribuiti a imbarcazioni cinesi che avrebbero causato rallentamenti significativi nelle comunicazioni, facendo temere prove generali per un blocco “invisibile” dell’isola.
I rischi principali derivano da attacchi fisici diretti, operazioni militari ibride e cyber attacchi mirati. Secondo un rapporto di Recorded Future, la Russia avrebbe intensificato la mappatura e il monitoraggio di queste infrastrutture, aumentando il rischio di sabotaggi deliberati o interruzioni mirate durante periodi di tensione geopolitica.
Per fronteggiare queste minacce, Stati Uniti, UE e NATO hanno sviluppato nuove strategie di difesa e resilienza. La NATO ha istituito nel 2023 una Undersea Infrastructure Coordination Cell, con lo scopo di migliorare il monitoraggio e la risposta a eventuali attacchi. L’Unione Europea ha risposto con finanziamenti mirati attraverso il Cyber Solidarity Act e il Connecting Europe Facility, con investimenti specifici per il rafforzamento della sicurezza dei cavi e delle infrastrutture digitali critiche.
La strategia americana sotto l’amministrazione Trump è chiaramente indirizzata a ridurre la dipendenza dalla Cina anche in altri settori chiave come semiconduttori, smartphone e laptop. Ad aprile 2025 Trump ha dichiarato un’emergenza nazionale per la sicurezza economica, imponendo dazi mirati e annunciando un’indagine sulla catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Aziende tecnologiche come Apple, Nvidia e Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) sono state esortate a riportare la produzione negli Stati Uniti, per diminuire la vulnerabilità geopolitica derivante dalla dipendenza cinese.
La Cina, dal canto suo, domina il mercato globale delle terre rare con il 90% della capacità di raffinazione mondiale, controllando intere filiere produttive di chip e componenti tecnologici essenziali. Per rafforzare questo predominio, il governo cinese promuove anche piani di sviluppo a livello internazionale come la Digital Silk Road, uno degli strumenti con cui Pechino cerca di espandere la sua influenza.
«Questo programma ha sia meri aspetti economico-commerciali, sia elementi di pressione politica, se non addirittura tendenti ad assicurare un’egemonia di Pechino su alcuni Paesi in via di sviluppo, anche attraverso la cosiddetta “trappola del debito”», spiega Stango. Secondo l’esperto, «nei Paesi retti da regimi autoritari l’allineamento con l’autoritarismo cinese è piuttosto facile e fa passare in secondo piano le questioni di sovranità e sicurezza, specialmente se accompagnato da forme di corruzione diretta».
L’Unione Europea cerca invece di tutelare la propria sovranità digitale attraverso una politica di autonomia strategica. Per Stango, «occorrono decisi investimenti e stretta collaborazione scientifica all’interno dell’Unione Europea», aggiungendo che «è urgente potenziare le misure di controspionaggio, perché il regime cinese è spesso riuscito ad infiltrare industrie e centri di ricerca tecnologicamente avanzati». Tuttavia, la difficoltà di coordinamento tra i paesi membri e la persistenza di dipendenze tecnologiche da Stati Uniti e Cina complicano il raggiungimento di una vera indipendenza digitale europea.
In un epoca in cui i grandi gruppi tecnologici hanno fatturati equivalenti ai Prodotti interni lordi di alcuni fra i più importanti Stati mondiali, un’accelerazione potrebbe arrivare da una collaborazione efficiente fra pubblico e privato. Su questo Roberto Cingolani, ex ministro delle transizione ecologica e amministratore delegato del gruppo Leonardo, ha più volte avvertito della necessità non solo di una cooperazione a livello nazionale, ma anche della creazione di una joint venture europea che possa superare la frammentazione industriale del Vecchio Continente. «Lavoriamo a una alleanza per la realizzazione di un polo produttivo europeo che competa alla pari con le produzioni americane e cinesi», aveva dichiarato a fine 2023 in audizione alla Commissione Difesa della Camera dei deputati. «Sono ben contento di rinunciare a qualcosa di domestico se possiamo diventare competitivi a livello globale», ha poi commentato a dicembre 2024 l’ad, che sta lavorando a ritmo serrato per la digitalizzazione del colosso industriale del settore degli armamenti.
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